“Devi fare finché puoi. Ed è l’obiettivo fondamentale per un artista della mia età: la dura realtà di invecchiare sapendo che non hai più molto tempo davanti a te" (Ian Anderson) Una band eterogenea, con radici musicali estremamente diverse, il jazz per il batterista Scott Hammond, la classica per il tastierista John O'Hara e poi il chitarrista Joe Parrish, ultimo arrivato, che si adatta bene: da fan dell'heavy metal con un background folk, suona toni più duri e supporta il flautista vocalmente. Ian Anderson modella sulle sue attuali ridotte possibilità vocali la scaletta con una prima parte centrata sui pezzi più datati ed un secondo set dalla produzione più recente. “Zealot Gene”, ispirato a motivi biblici, è ancora molto presente nella setlist e musicalmente rimane nella solita zona di comfort dei Jethro Tull tra folk e rock progressivo. La title track si rivolge a politici di potere come Trump e al loro uso improprio dei media digitali. "Mine Is The Mountain" è musicalmente basato sul leggendario "My God" ed è messo in scena visivamente dalle impattanti videoproiezioni. Ovviamente è difficile fare una selezione da un carniere musicale così ampio che soddisfi tutti i fan. Il risultato delle considerazioni con cui si è voluto gratificare il pubblico è stato un set con 18 pezzi comprensivi del bis. Una miscela che ha appagato visibilmente e inequivocabilmente i numerosi spettatori della fascia di età over 50 che hanno partecipato. Dai primi lavori della formazione originale figurano “We used to know”, salutata con gioia dalle prime progressioni degli accordi nel suo elegante 12/8, “Cross-Eyed Mary” e “Bourée”. Nel corso degli anni, lo stile della musica è cambiato assieme alle formazioni, con il flauto di Anderson che plasma il suono e rappresenta la più grande caratteristica di riconoscimento della musica dei Tull. Classici come "Aqualung", rivisitata, e la solida folk "Heavy Horses" vengono eseguiti con competenza e potenza dalla formazione. Lo spettacolo rinuncia quasi completamente ai troppi annunci intermedi del leader per garantire la giusta tensione emotiva. Le registrazioni in videoproiezione mostrano la carriera della band e sollevano interrogativi etici quali: il problema nutrizionale di una popolazione mondiale in rapida crescita, i conflitti generazionali, cereali geneticamente modificati, politica e case farmaceutiche. Solo alcuni tra i tanti tormenti che Anderson affronta sotto forma di missione ed impegno musicale. Visual, a mio parere, troppo debordanti che distolgono con il loro flusso continuo l’attenzione dalla musica. Il metaforico treno in corsa della crescita della popolazione e del capitalismo era basato esattamente su quel tipo di interrogativi: siamo su questo mezzo in folle corsa e non possiamo scendere. Dove si sta dirigendo? L’interrogativo aperto schiude al grande finale con il bis, esattamente "Locomotive Breath”, che lascia una leggera malinconia, ma riempie anche il cuore per aver scelto di essere stati presenti.
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Ian Anderson: voce, flauto Joe Parrish: chitarra David Goodier: basso John O'Hara: tastiere Scott Hammond: batteria
setlist: Nothing Is Easy Cross-Eyed Mary With You There to Help Me Sweet Dream We Used to Know Wicked Windows Holly Herald Clasp Mine Is the Mountain Bourrée in E minor
Set 2: Heavy Horses The Zealot Gene Warm Sporran Mrs Tibbets Dark Ages Aqualung
Encore: Locomotive Breath
Teatro EuropAuditorium Bologna
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