Mi sono avvicinato all'ultimo album dei Marillion, Fear, con curiosità. Sono lontani i tempi in cui recensivo con un po' di noia (lo devo ammettere) quel neo-prog tardivo che mi sembrava comunque una copia carbone della vera innovazione delle band degli anni settanta, tanto che non vedevo l'ora di gettarmi sul nascente movimento svedese che, con alti e bassi, almeno cercava nuove strade per il Progressive.
Ma ho ritrovato una band profondamente diversa, migliore di quella che avevo lasciato ed ascoltato: partiamo dalla conclusione, questo disco è eccellente, raggiunge una qualità sia musicale che letteraria veramente inaspettata. Fear è un concept "genuino", lontano dalle architetture fatte a tavolino e forzate in canoni predeterminati del classico progressive rock. Il suo essere concept gli deriva dalla atmosfera che riesce a creare in tutti i brani, che risultano omogenei nell'ispirare un senso di attesa di buzzatiana memoria, un senso di paura (fear) di ciò che può accadere, un presagio di essere sull'orlo di un baratro e che il prossimo passo ci getterà in un mondo diverso, non noto ma sicuramente peggiore. Una consapevolezza di essere al centro del ciclone, nella tempesta perfetta che sta per caderci addosso con la voglia di mandare al diavolo tutto e tutti (Fear = Fuck Everyone And Run). E così nei testi ogni aspetto, ogni memoria, ogni pensiero è utilizzato per ricordare le occasioni mancate, per analizzare ciò che sta accadendo attorno a noi, per psicanalizzare i propri comportamenti e le loro implicazioni sulla vita di tutti i giorni, sulla nostra e su quella di chi ci sta accanto. Un percorso che spazia dalle questioni sociali ed economiche, a quelle politiche sino ad arrivare a ragionare su di un amore perduto, su un figlio mancato, sull'età che avanza inesorabilmente e che ci chiede di fare spazio agli altri e diventare solo osservatori. Una feroce disamina del mondo diviso in chi rimane (nella propria zona di quiete) e chi abbandona (per cercare qualcosa di diverso dalla normalità). Un invito a fare qualcosa perché
la vita è troppo breve per rimanere fermi
. Una consapevolezza di dover affrontare il momento difficile superando l'atavica conflittualità che ci deriva dall'essere pronipoti delle scimmie, un accorato appello a superare la paura (che spreco di tempo) cantato non solo in inglese ma anche in russo ed in tedesco, i nuovi re che ci stanno portando verso l'abisso. E la musica sottolinea e segue di pari passo la costruzione di questa atmosfera con una concatenazione di suite che in realtà sono un puzzle di quadri variegati, di alternate emozioni fatte di crescendi e pause di quiete assoluta. Una musica raffinatissima, curata in ogni aspetto, talvolta ipnotica e pervasa di tenerezza e tristezza ma comunque narrativa, scenografica, in movimento. Una musica con continui stop & go, un susseguirsi di continua calma riflessiva e furore. Ottime le tastiere di Mark Kelly che non solo contribuiscono a creare l'atmosfera ma fanno anche da collante a tutti i cambiamenti di scena. Ottimi anche basso e batteria, sempre precisi, lucidi, mai invasivi
ben equilibrati nelle ripartenze dopo i momenti di calma, attenti a ricreare i confini perduti nei rarefatti e sognanti intermezzi di sola voce e chitarra. Ottimo anche l'uso dei sintetizzatori per creare cavalcate crescenti a lanciare ora le chitarre di Rothery ora la voce di Hogarth che offre una bellissima interpretazione al massimo della sua potenzialità espressiva: intimista, introspettiva e sempre adeguata al racconto. Tutti i brani sono eccellenti, dalla iniziale "El Dorado" di ispirazione iniziale floydiana, ma con sorprendenti accelerazioni ritmiche che esprimono angoscia che sfocia in una sensazione di fatica fisica e di nostalgia per ciò che poteva essere e non è, per passare alla pittorica "White Paper" che ci accompagna dal solo piano iniziale sino alla eterea dinamica complessiva dove sezioni di archi, basso e batteria cesellano aritmicamente lo sviluppo del brano e poi arrivano improvvisamente alla melodia base impreziosita da sonorità elettriche ed elettroniche: un quadro che ci viene dipinto davanti agli occhi, che cresce partendo da una tela bianca. Bella anche "Living in fear", vero e proprio manifesto dell'album e spettacolare "The new Kings" che è l'unico pezzo costruito con una struttura musicale classica e riconoscibile, con una introduzione che viene ripresa nel finale ed una parte centrale che rimane svincolata e libera: forse il brano più progressive - nel senso nobile del termine - dell'album ma anche il più legato alla attualità storica che stiamo vivendo, ai poteri forti che cambiano domicilio ma non la sostanza e la capacità di guardare ed incidere sulla realtà. A completare il tutto la mastodontica (anche nel senso di lunghezza) "The Leavers", 20 minuti di caleidoscopico rincorrersi di note, di ritmi elettrici, di pianoforte, di loop dominati dai nervi, di chitarra pomposa, di aperture ariose che collassano in concentrati di sentimenti acustici e senza un ritmo definito, luoghi liquidi senza barriere che poi riesplodono per riprendere la corsa. Una autocritica e spietata analisi del vivere da musicisti, novelli nomadi senza patria, senza normalità, senza visione del futuro se non come ricerca di un nuovo brivido per sentirsi vivi. F.E.A.R. è un disco sorprendente, da ascoltare dimenticando schemi o canoni, senza osare paragoni, ma lasciandosi trasportare dall'emozione. Un disco maturo, di una band matura che ha trovato il suo modo ed il suo mondo. Un album competo, da non ascoltare come spesso purtroppo accade come sottofondo, ma da godere nella sua completezza.
|
|
Steve Hogarth: voce, tastiere, chitarra Steve Rothery: chitarre Ian Mosley: batteria e percussioni Pete Trewavas: Basso, voce Mark Kelly: Tastiere
Anno: 2016 Label: Ear Music Genere: Progressive Rock
Tracklist: 01. El Dorado I. Long-Shadowed Sun II. The Gold III. Demolished Lives IV. F E A R V. The Grandchildren of Apes 02. Living in F E A R 03. The Leavers I. Wake Up in Music II. The Remainers III. Vapour Trails in the Sky IV. The Jumble of Days V. One Tonight 04. White Paper 05. The New Kings I. Fuck Everyone and Run II. Russia's Locked Doors III. A Scary Sky IV. Why Is Nothing Ever True? 06. Tomorrow's New Country
|