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Circolo Lehmann
Dove Nascono Le Balene

Splendido questo primo disco del Circolo Lehmann, band piemontese nata nel 2011 come progetto che voleva miscelare musica e letteratura, canzone e poesia. L’amore per la letteratura, d’altronde, è evidente anche dal nome che la band ha scelto, omaggio al libro di Sven Regener “Il signor Lehmann” ed al suo messaggio di cambiamento, di età che corre e che prima o poi ci chiede il conto improvvisamente, senza avviso, e sta a
noi farci trovare pronti. Leitmotiv dell’album è l’acqua (tutto scorre?) richiamata fin dal titolo nella domanda retorica “Dove nascono le balene?”. Un’acqua che si trasforma, ingloba, fa da paesaggio, contiene … un’acqua senza forma come i sentimenti che si adattano alle condizioni del quotidiano, che reagisce agli ostacoli, che erodono e non si fermano mai.

Un’acqua descritta da musiche anch’esse in movimento, in un gorgo in cui si incontrano rock psichedelico, folk e canzone d’autore e che ci porta ad altre dimensioni. Una contaminazione che ci porta al sogno, al richiamo di sensazioni primarie, all’ascolto degli accenti “stonati” nella tranquillità della normalità, a nuovi spazi in cui evolvere …
La band dipinge un paesaggio dominato dalla foschia della luce, dalla sfocatura dei pomeriggi d’estate … inserendo sprazzi di espressionismo elettrico. Un’atmosfera che spesso mi ha richiamato i primi Porcupine Tree. Molto bello l’inizio con “Marlene” ed il funk-rock di “La festa”, interrotta coscienziosamente dalla dolce “Niente di nuovo” che ci riporta alle atmosfere cantautorali, con un sontuoso e coinvolgente arpeggio di chitarra che sfocia in una sezione d’archi e cori che ci accompagnano nella nostra “comfort zone” lasciandoci però il dubbio di aver comunque perso qualcosa.
Per arrivare al brano che preferisco “La casa al mare”, luogo vicino seppur irraggiungibile,un senso di attesa e sospensione degno del miglio buzzati, una chitarra ed una voce che altalenano l’anima tra speranza e disillusione, fino allo sviluppo ritmico dei fiati che nel finale allontanano la meta.

Altri brani notevoli sono la multidimensionale titletrack, e “Danza” caratterizzata da un dolce arpeggio di chitarra con un delicato contrabbasso sullo sfondo, per una melodia tra De André e Samuele Bersani… e poi la strumentale “Ulisse” con fraseggi di chitarra e voci corali che soffiano sulle nostre vele in viaggio. Ed anche le conclusive “Nero a capo”, con il suo intro alla Pink Floyd, e la limpida “Cosa ci siamo persi”, degna chiusura di questo percorso di autoconsapevolezza.
Un disco colto, che si può ascoltare a diversi livelli, che si può approfondire leggendone i testi. Un disco ottimamente riuscito (ho un unico sassolino che mi voglio togliere, talvolta la voce di Ghego è sin troppo perfetta e cristallina sulla distorsione psichedelica di certi suoni, risultando un po’ “fredda”) che va ascoltato a luci spente, dandogli il tempo che si merita.

Lui ci accompagnerà in un viaggio nei luoghi dove sappiamo di dover andare, ma che da troppo tempo stiamo rimandando.

Tracklist:
01. Marlene
02. La festa
03. Niente di nuovo
04. La casa al mare
05. La nostra guerra
06. Dove nascono le balene
07. Danza
08. Maree
09. Ulisse
10. Nero a capo
11. Cosa ci siamopersi

Formazione:
Ghego Zola: voce, chitarre elettriche, sintetizzatori, programmazione
Lorenzo Serra: basso elettrico
Pax Caterisano: batteria
Umberto Serra: Tastiere, tromba
Marco Magnone: scrittore di "storie e controstorie"

 


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