Forti di una parte di critica che vede in loro uno dei migliori gruppi di rock revival in circolazione, tornano con un disco di inediti i canadesi Black Mountain, a 2 anni e mezzo dal quel In the future che ha donato loro una discreta visibilità anche in Europa.
Come come il suo diretto predecessore però, Wilderness Heart è un disco che riesce a miscelare con intelligenza e sincerità elementi folk, hard rock e psichedelici classici degli anni '70s, ma senza emergere con nessun brano in particolare dalla sufficienza, anche a causa della totale mancanza di originalità, ma sopratutto, di personalità. Per carità, brani come l'opener "The Hair Song" sono confezionati bene, con il suo pattern melodico a metà tra pop e rock da classifica, risultando piacevole e fresca, cosi come ballate come "Radiants Hearts" richiamano non poco gli episodi più folk dei Led Zeppelin del terzo disco, il che non è necessariamente un male, ma quello che manca ad un disco come Wilderness Heart è l'anima. Tutti i brani inclusi ricordano qualche fenomeno del passato, e quando va male siamo al mero scimmiottamento: il quintetto canadese ce la mette tutta nel provare a dare un'impronta personale ai pezzi, ma non ci riesce. Meglio quando i toni si inaspriscono e le chitarre elettriche cominciano a sputare fuoco, come nella title track, dai chiari echi sabbatthiani, oppure la sassata hard rock "Let Spirits Ride", con spruzzi di space rock vicini agli Hawkwind più acidi e lancinanti. Tutto sommato la prova numero 3 in studio dei Black Mountain non è malaccio, la produzione è di ottimo livello e le canzoni più rockeggianti ne traggono beneficio, ma la domanda che è lecito porsi è se il combo di Vancouver abbia intenzione un giorno di impersonificare e rendere meno derivativa la proposta, o se invece preferisce essere per il resto della carriera una più che dignitosa cover band delle classic band degli anni '70. Ai posteri la risposta. 60/100
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Matt Camirand: Basso Anno: 2010 |