E non ci hanno più lasciati soli.
Con † hanno riscritto i canoni dell’elettronica, un epocale esordio che li ha catapultati di diritto sulla vetta della scena dance, a capeggiare la rivoluzione musicale di cui siamo stati testimoni tra il 2007 e il 2008, che ha portato all’attuale “era di fruizione di massa dell’elettronica”. Frammenti scintillanti di Daft Punk incastonati a linee melodiche (talvolta appena accennate) classicheggianti, bassi potenti e synth ora spietati ora ubriachi e sghignazzanti si amalgavano perfettamente per andare a creare la perfetta colonna sonora per una festa, con tanto di ritornelli canticchiati qua e là da voci femminili o coretti infantili. Red Bull per le orecchie, un disco che pesava come un macigno.
Questi erano i Justice.
I nuovi paradigmi scavati su dance floor sparsi per il mondo avevano trasformato la Croce in un vero e proprio fenomeno della cultura sempre meno underground delle grandi metropoli, ma lasciavano, come spesso accade a seguito di uscite discografiche tanto prepotenti, un’unica, spaventosa incognita: cosa verrà dopo, cosa accadrà ai successori al trono (ormai forse legittimi sovrani) di Guy Manuel e Thomas Bangalter? La risposta quattro anni dopo, un’attesa snervante per fan sfegatati e incalliti party-harders – intervallata dal live A Cross The Universe, che fa tanto il verso ad Alive e dall’EP Planisphere – con il singolo "Civilization" che lascia ben sperare per l’album in uscita sei mesi dopo. Nella realtà dei fatti "Civilization" non è altro che una truffa ben orchestrata: un brano in cui i vecchi stilemi di † (che in quattro anni erano invecchiati, sì, ma non così tanto) percorrono nuove vie sonore sui binari di una rigida struttura ciclica, martellante, divertente, esattamente ciò che tutti volevano. Ma l’album nella sua interezza va in tutt’altra direzione: gli undici brani di Audio, Video, Disco (“Ascolto, Vedo, Imparo”) sono un po’ come round di una titanica rissa tra YES e Genesis per accaparrarsi la Pyramid Station dei Daft Punk.
Tastiere prog ("On ‘n’ On") e melodie medioevali ("Canon") la fanno da padrone, il duo francese non lesina su veri e propri tributi agli anni ’70 (lo stacco di "Newlands" è una statua d’oro a Jimmy Page durante il leggendario intro di "Whole Lotta Love") che lasciano sullo sfondo sintetizzatori, bassi e percussioni tuttora presenti ma in forma più moderata e discreta. I Justice non si limitano a cambiare le carte in tavola, ribaltano proprio il tavolo, lasciando orfani le miriadi di aspiranti dj che da qualche anno a questa parte (forse proprio dopo l’uscita di †) si sono fatte avanti nella night life europea, fondando una vera e propria Chiesa della French House. E invece.
Niente nuovi inni per gli eserciti notturni di proseliti affamati di beat, ma tracce più adatte all’ascolto puro (la title-track e ancora Newlands in particolare), si fondono a dovere elettronica, soft e prog rock e una buona dose di pop. Così i Justice si presentano in un’altra veste, con un prodotto di fruizione diversa, ricamandosi un ruolo nuovo rispetto a quello attribuitogli (e auto-attribuitosi) in precedenza di aizzatori delle masse.
Un polpettone che di certo non brilla per classe, ma un buon disco, per quanto lasci spiazzati.
La domanda, a questo punto, è sempre quella.
Cosa diavolo ci aspetta alla prossima uscita?
70/100
Gaspard Augè: Sintetizzatore e mixer
Xavier De Rosnay: Sintetizzatore e mixer
Anno: 2011
Label: Ed Banger Records
Genere: Elettronica
Tracklist:
01. Horsepower
02. Civilization
03. Ohio
04. Canon (Primo)
05. Canon
06. On'n'On
07. Brianvision
08. Parade
09. Newlands
10. Helix
11. Audio, Video, Disco