L’influenza di certi presunti grandi nomi della musica italiana si fa sentire un po’ troppo, fino a far risultare stantio il sound leggero e docile, e le liriche non sfruttano le virtualmente sconfinate potenzialità espressive che l’uso della lingua italiana concede, vero punto di forza del rock (pop) made in Italy. Non c’è un vero e proprio brano di punta, anche se da un punto di vista squisitamente musicale (non tanto nelle melodie quanto negli arrangiamenti) “Cosa resterà nei libri di storia” e “Io e la mia dignità” mostrano qualche trovata più originale del resto del disco, un po’ di energia e carisma in più. La pecca, specialmente in queste due canzoni (che risulterebbero altrimenti interessanti) sta nei testi, davvero poco originali e infarcite di clichè. Degli altri brani nessuno si distingue, tutti troppo impegnati a sembrare pezzi dei Negrita (“Ballando Ballando") o di Bryan Adams (“Chiuso in me”). L’atmosfera generale dell’album non convince, è statica, manca di midollo e personalità. È una testimonianza dell’inversione di ruoli cui si sta assistendo da un po’ di tempo a questa parte nel Bel Paese: ciò che tempo fa poteva essere definito come “prodotto”, prodotto per le masse, prodotto e risultato della “vecchia scuola” del cantautorato italiano (da Battisti a De Gregori a De Andrè a Battiato a Cocciante a Daniele e molti altri) mediato e traviato dalle manovre pubblicitarie attuate dalle major discografiche che hanno progressivamente inebetito le menti degli ascoltatori medi, questo prodotto ora è icona e modello. Prendiamo ad esempio i più celebri volti del pop (guai a voi a chiamarlo rock) italiano, Vasco Rossi e Luciano Liguabue, l’uno divenuto ormai la parodia di sé stesso, l’altro che dopo aver capito il giochino numerico con Buon Compleanno Elvis ha continuato a propinarci gli stessi quattro accordi e le stesse lagne per diciassette anni; ora, la musica dei due altro non è che la brutta copia delle suggestioni e delle eredità raccolte, tra le quali la canzone italiana. Ebbene, queste brutte copie ora sono esse stesse modello e suggestione, icone. E se si decide di fare musica, è necessario confrontarsi con esse, emularle e omaggiarle o distruggerle con il proprio prodotto artistico (a seconda del fine, rispettivamente il succeso radiofonico o la qualità). La strada scelta da Cè sembra piuttosto chiara al momento, ma non è mai tardi per redimersi, alla prossima uscita potrebbe tirar fuori i denti e osare un po’ di più, senza cercare di imitare nessuno, percorrere strade nuove, e farci cambiare idea. 45/100
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Cesare Isernia: Voce e chitarra Anno: 2012 Tracklist:
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