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Anime

Cesare Isernia, in arte Cè, cantautore originario del Napoletano, propone, al suo disco d’esordio, un pop senza troppi fronzoli, genuino, forse un po’ troppo. Anime presenta dodici brani in cui i testi pseudo intimisti e arrangiamenti asciutti – fin troppo! Dove sono queste tre chitarre? – si amalgano per creare una miscela scorrevole, genuina appunto, fino a sfiorare (e, in certi frangenti affondare) la banalità.
L’influenza di certi presunti grandi nomi della musica italiana si fa sentire un po’ troppo, fino a far risultare stantio il sound leggero e docile, e le liriche non sfruttano le virtualmente sconfinate potenzialità espressive che l’uso della lingua italiana concede, vero punto di forza del rock (pop) made in Italy.

Non c’è un vero e proprio brano di punta, anche se da un punto di vista squisitamente musicale (non tanto nelle melodie quanto negli arrangiamenti) “Cosa resterà nei libri di storia” e “Io e la mia dignità” mostrano qualche trovata più originale del resto del disco, un po’ di energia e carisma in più.  La pecca, specialmente in queste due canzoni (che risulterebbero altrimenti interessanti) sta nei testi, davvero poco originali e infarcite di clichè.  Degli altri brani nessuno si distingue, tutti troppo impegnati a sembrare pezzi dei Negrita (“Ballando Ballando") o di Bryan Adams (“Chiuso in me”).

L’atmosfera generale dell’album non convince, è statica, manca di midollo e personalità.
Il connubio “testo facile + melodia da mandare a memoria” nell’industria musicale  è una strategia che paga, e parecchio. Il panorama mainstream italiano è uno dei più disastrosi dell’Occidente, e da ormai un paio di decenni il “successo” ce l’hanno sempre le stesse persone, o nuovi figuri che percorrono vie già spianate dai “mostri sacri” della musica.

È una testimonianza dell’inversione di ruoli cui si sta assistendo da un po’ di tempo a questa parte nel Bel Paese: ciò che tempo fa poteva essere definito come “prodotto”, prodotto per le masse, prodotto e risultato della “vecchia scuola” del cantautorato italiano (da Battisti a De Gregori a De Andrè a Battiato a Cocciante a Daniele e molti altri) mediato e traviato dalle manovre pubblicitarie attuate dalle major discografiche che hanno progressivamente inebetito le menti degli ascoltatori medi, questo prodotto ora è icona e modello. Prendiamo ad esempio i più celebri volti del pop (guai a voi a chiamarlo rock) italiano, Vasco Rossi e Luciano Liguabue, l’uno divenuto ormai la parodia di sé stesso, l’altro che dopo aver capito il giochino numerico con Buon Compleanno Elvis ha continuato a propinarci gli stessi quattro accordi e le stesse lagne per diciassette anni; ora, la musica dei due altro non è che la brutta copia delle suggestioni e delle eredità raccolte, tra le quali la canzone italiana.

Ebbene, queste brutte copie ora sono esse stesse modello e suggestione, icone.

E se si decide di fare musica, è necessario confrontarsi con esse, emularle e omaggiarle o distruggerle con il proprio prodotto artistico (a seconda del fine, rispettivamente il succeso radiofonico o la qualità).  La strada scelta da Cè sembra piuttosto chiara al momento, ma non è mai tardi per redimersi, alla prossima uscita potrebbe tirar fuori i denti e osare un po’ di più, senza cercare di imitare nessuno, percorrere strade nuove, e farci cambiare idea.

45/100


Cesare Isernia: Voce e chitarra
Marco Salvatore: Batteria
Alessandro Morlando: Chitarra
Gaetano Fontanello: Chitarra
Diego Capone: Basso

Anno: 2012
Label: Autoprodotto
Genere: Pop

Tracklist:
01. Ballando Ballando
02. Oltre le parole
03. Chiuso in me
04. Andando via
05. Sogni di gloria
06. Cosa resterà nei libri di storia
07. Bilico
08. Io e la mia dignità
09. Sbarre
10. Viaggio di ritorno
11. Alieni
12. Lunedì

 

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