Quattordici anni di attesa, quattordici anni di astinenza. Tanto è il tempo trascorso dall’uscita di Predator, precedente fatica in studio degli Accept. Il digiuno è stato lungo, ma finalmente abbiamo tra le mani quanto serve per saziarci.
L’occasione è ghiotta, oltre 70 minuti di musica. Nel lettore gira un dischetto pesante come un carro armato, che viaggia sui cingoli possenti della sezione ritmica del duo Baltes/Schwarzmann, con una corazza impenetrabile costruita sul serrato riffing di Wolf Hoffman e del ritrovato Herman Frank e, sorpresa delle sorprese, con una bocca di fuoco del calibro di Mark Tornillo (ex vocalist dei TT Quick, ricordate il loro Metal of Honor ?). Questo è il nuovo ingrediente del pasto preparato dai nostri eroi tedeschi. Mark Tornillo possiede una voce simile a quella di Udo, forse più “rotonda” e meno tagliente, ma sicuramente con maggiori sfumature, in quanto capace di passare dal sussurro al ruggito senza difficoltà. Gli Accept hanno finalmente trovato, con gran fortuna (pare durante una jam improvvisata nello studio privato di Baltes a Philadelphia), il cantante di cui avevano bisogno per allontanare lo spettro della somiglianza con gli AC/DC e per poter sperimentare nuove soluzioni musicali. Il banchetto si apre con “Beat the Bastards”, un brano d’assalto composto da tutti gli elementi tipici della cucina Accept, si può dire che ci troviamo di fronte ad una versione moderna di “Fast as a Shark”. Segue “Teutonic Terror”, strutturata su un tempo roccioso con tanto di coro evocativo, di certo tra le cose migliori dell’album. In “The Abyss”, brano che denuncia le condizioni critiche in cui si trova il nostro pianeta, Tornillo ci fa ascoltare il suo cantato pulito nel breve refrain centrale. “Blood of The Nations” attacca con una cavalcata alla Maiden, che via via si trasforma in un granitico anthem dedicato alle nazioni che pagano con il sangue dei propri soldati il tributo alle attuali guerre. “Shades of Death” è impressionante nella sua cadenzata teatralità; “Locked and loaded” è il pezzo più tirato dell’album dove i due axemen macinano riff a tutta velocità. Si passa all’energia compressa di “Time Machine”, grande brano sempre sul punto di esplodere. Necessita un attimo di respiro e a questo ci pensa “Kill the Pain”, ballad ricca di pathos. Si riparte con “Rollin’ Thunder”, omaggio ai migliori Priest. Ormai con “Pandemic”, il contagio metallico è diffuso, la track contiene un grande assolo di chitarra che sfocia in una progressione di note di stampo classico; “New World Comin’” è forse il brano più diretto dell’intero lavoro. In coda troviamo “No Shelter”, con un finale arrembante e “Bucketful of Hate”, che inizia con un inquietante carillon per poi deflagrare in un canto rabbioso. In linea generale è difficile scegliere i pezzi migliori, Blood of the Nations non presenta cedimenti (tranne forse, la ruffiana “New World Comin’”), tutte le tracks hanno cori coinvolgenti, gli interventi solistici non sono mai fini a se stessi, ma contribuiscono a dare corpo e sostanza ai brani. La produzione di Andy Sneap (ex chitarrista dei Sabbat) esalta alla grande i suoni delle due asce (come sempre d’altronde, basti ascoltare, per esempio, gli ultimi lavori di Megadeth e Nevermore). Si consiglia vivamente di ascoltare il disco più volte per apprezzare pienamente quanto senso della melodia si nasconde dietro la potenza sprigionata dagli Accept. Un grande ritorno, finalmente il digiuno è terminato, ladies and gentlemen accomodatevi, il “PANZER” è servito. 90/100
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Wolf Hoffmann: Chitarra Anno: 2010 Sul web: |