Dopo tanti anni passati ad ascoltare gruppi metal ed affini, è difficile trovare qualcosa che possa ancora impressionare.
Album scoppiettanti e 'baciati' da un vento nuovo come il primo dei Van Halen, The real thing dei Faith No More, Mental vortex dei Coroner, Images and words dei Dream Theater, Holy land degli Angra, Blackwater park degli Opeth e, ultimamente, Tales of the sand dei tunisini Myrath e Win hands down degli Armored Saint non escono certo tutti i giorni. In sintesi la storia è ambientata in un futuro prossimo, in un mondo colpito da un pesante inquinamento (“Silent Death”, la morte silenziosa) che fa ammalare irreversibilmente molte persone, tra le quali anche il protagonista e narratore Winston. Le industrie che danneggiano l’ambiente sono gestite da potenti lobby, che puntano solo al guadagno ed al controllo delle masse. Gli unici che provano a contrastare questa situazione sono i componenti della “Khaos Inc.”, una organizzazione sovversiva guidata da “Z”. Il tema principale è quello del “potere” visto in tutte le sue forme: quello economico, quello politico, quello dei mass-media, ma anche quello insito nella natura umana, molto spesso egoista ed incurante degli interessi collettivi. Dentro questo contesto si sviluppano rapporti di amicizia, complotti, tradimenti e relazioni amorose. Non manca la componente noir incarnata dal personaggio di Anna, una ‘femme fatale’ che si scoprirà essere un sicario assoldato dalle lobby. Passiamo ora alla musica, che è il vero piatto forte. Nell’arco dell’intero lavoro le due chitarre di Davide Giancane e di Giuliano Zarcone si inseguono e si intrecciano con estrema naturalezza, passando da liquidi arpeggi a granitici riff, scambiandosi continuamente i ruoli solisti e di accompagnamento. Proprio per questo motivo, a differenza della quasi totalità delle band prog, gli OverKhaos non hanno un tastierista in pianta organica. Le poche keyboards presenti servono soprattutto per rifinire i brani. Unica eccezione è “Anna’s Song” (pezzo già uscito l’anno scorso come singolo) arricchito dai vari synth, hammond e pianoforti suonati da Derek Sherinian (ex Dream Theater e Black Country Communion), qui in veste di special guest. La sezione ritmica è molto precisa e versatile, con Andrea Mariani che si rivela batterista fantasioso e capace di affrontare con disinvoltura cambi di tempo e stacchi complicati. Il basso di Anna Digiovanni (deliziosa presenza femminile), poi, dona potenza, calore e profondità alle già complesse partiture intessute dai due chitarristi. I brani sono costellati di atmosfere cangianti che dipingono immagini di rabbia, delusione, violenza, tristezza che spesso spingono all’headbanging o provocano brividi. Esemplare è il commovente crescendo della conclusiva “Deadline”, talmente intensa da toccare il cuore e suscitare il pianto. Il gruppo, forte di una lunga gavetta in sede live, ha trovato il giusto equilibrio tra potenza e melodia, per questa caratteristica, se dovessimo fare un ipotetico paragone con blasonate uscite d’oltreoceano, Beware of Truth si collocherebbe tranquillamente tra Awake dei Dream Theater e Master of Puppets dei Metallica, non è una esagerazione, ascoltare per credere. Ci troviamo di fronte a musicisti preparati che mettono la tecnica al servizio dei brani e non viceversa. Gli assoli hanno sempre una loro musicalità e costituiscono l’ossatura dei pezzi; le cascate di note (scale, legati, tapping, ecc…) anche quando sono suonate a velocità sostenute, sono perfettamente distinguibili. Tutto è curato nei dettagli, la registrazione ed il missaggio sono ottimi e si riescono ad apprezzare al meglio anche i rumori descrittivi che legano un pezzo all’altro al fine di rendere più chiara la trama del concept: bambini che giocano, grida di protesta, liquido versato (veleno?) in un bicchiere che subito dopo si infrange per terra. Anche l’artwork è fondamentale per sottolineare la cupezza della storia: skyline industriali e paesaggi catastrofici, oscuramento del sole, uomini con maschere a gas, letti di ospedale, gente stordita dalla televisione, un’anziano che visita un cimitero... Sveliamo anche alcune curiosità in merito alla parte grafica, sulla tv raffigurata in copertina scorrono le breaking news, che in realtà sono parte del testo di “Solar Starvation” e su una delle ciminiere si legge la scritta ‘Imperium’, che era il nome originario della band, questo per evidenziare l’attenzione per i particolari e l’anima che i cinque ragazzi hanno messo in questa opera. L’intero lavoro colpisce per la sua maturità compositiva ed è pregno di quella spontaneità e di quella selvaggia voglia di dire che spesso caratterizza gli album di esordio. Questo disco può aprire inediti scenari in quanto possiede la freschezza e la carica innovativa degli album storici citati all'inizio, ad ennesima riprova che nell'universo hard rock molto è stato detto, ma con un po' di buona volontà ancora molto si può dire. E quindi siete avvertiti: “Attenti alla verità!!!”.
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Mimmo D'Oronzo: Voce
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