I blackster Locus Mortis si ripresentano al pubblico con un album di otto pezzi, dalla produzione curata, a partire da una copertina intrigante, che gioca con gli effetti creati da un'efficace alternanza di luci ed ombre.
La morte incappucciata, con in pugno la caratteristica falce, campeggia al centro dell'immagine, pronta a prendersi l'anima di un vecchio dalla lunga barba bianca, mentre sullo sfondo appaiono degli scheletri, nascosti tra i chiaroscuri. Anche all'interno del libretto il tema dominante è la morte, dato che spiccano varie immagini dal notevole effetto cromatico e figurativo: in una un incappucciato ci porge un teschio, in un'altra gli parla, come avrebbe fatto Amleto, mentre in una terza abbassa lo sguardo, come per guardare a terra, in procinto di muoversi, visto che è immerso nel nero; teschi ed ossa umane, però, si ritrovano anche in mezzo agli sterpi, come a simboleggiare un ritorno dell'uomo alla natura. Sarebbe stato interessante, però, leggere anche i testi, visto che le informazioni presenti nel libretto sono limitate all'essenziale. Il gruppo è fornito di tecnica discreta, che, unita ad una buona registrazione, fornisce un effetto risultante che non è il tipico, fastidioso ed incomprensibile ronzio di molti dischi black metal, bensì la separazione dei suoni e la distinzione di chitarra e batteria in modo intellegibile per l'ascoltatore. Il CD dura circa quarantacinque minuti e si apre con "Lasciate che Vengano a Me", dall'attacco furioso, che presto rallenta per lasciare spazio a momenti lievemente più melodici; il brano si conclude con un lugubre rumore di catene che strisciano per terra, come quelle di un prigioniero. Tra le canzoni spicca anche "Sonno Eterno", dall'arpeggio darkeggiante, seguito da un crescendo dettato dal ritmo della batteria; il brano diventa poi funereo e si chiude con una chitarra fluida. Si continua con "Resti" ed "Avvento", veloci, apocalittiche; "Il Respiro dei Morti" è un altro pezzo di rilievo, che in alcuni istanti sfiora il black melodico, grazie anche ad una chitarra velenosa ed ipnotica, mentre la chiusura è affidata alla title track, ricca dapprima di effetti, poi di feroce aggressività, per un finale oscuro che lascia gli strumenti liberi di esprimersi. L'album, a nostro parere personale, non fa gridare al miracolo, però non è certo da buttare, anzi è interessante, principalmente per via del cantato in italiano, sostenuto da una convincente prova del cantante e degli strumentisti; lo consigliamo, pertanto, a tutti i seguaci del black metal e, più in generale, delle sonorità aggressive, dirette e spietate. 70/100
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MZ: Tutti gli strumenti Anno: 2007
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