L’esordio discografico completo dei trevigiani Burning Black è, come vedremo, un inno all’heavy metal tradizionale, scevro da squallidi compromessi derivanti da ibridi e freddi elementi moderni, senza che ciò implichi un suono vecchio e datato, grazie ad una produzione curata e a dei musicisti degni di tale nome, lontani dall’idea che il restare legati allo stile anni ’80 del secolo scorso significhi scopiazzare le note dei padri: la rielaborazione è ben altra cosa ed in questo album è senz’altro riuscita.
La copertina, in cui, a dire il vero, ritroviamo qualche elemento presente su alcuni vinili dei Whitesnake o dei Judas Priest, raffigura un uomo ed una donna, completamente nudi, racchiusi in una sfera somigliante ad una goccia, naturalmente d’acciaio, in omaggio al metallo cantato da vari gruppi leggendari del settore. Nel libretto, semplice ma dalla grafica chiara, che rende leggibili i testi, a volte personali, altre volte più generali, comunque sempre interessanti (apprezziamo molto di più questa semplicità spartana rispetto a certi libretti pieni di disegni che non fanno capire nulla di ciò che c’è scritto sotto), spicca una foto, che mostra i due chitarristi che incrociano i loro strumenti, quasi a difesa del cantante, coperto alle spalle dalla sezione ritmica: una foto di impatto, a dimostrare convinzione in ciò che si fa ed attitudine per il genere suonato. Il CD, che dura circa quarantacinque minuti, inizia con “Hell is now”, tipico brano d’apertura, aggressivo, con un testo personale, in cui ricordiamo un buon assolo con l’utilizzo dell’effetto wha-wha. Segue “Angel of War”, di gran lunga migliore, sia per il testo – di denuncia contro la brama di denaro, rivolta sia verso il potere politico che contro quello religioso - sia per la musica, per via della eccellente prestazione del cantante, “sporco” quanto basta, dotato di una buona estensione e di un timbro adatto al genere proposto; ricordiamo, inoltre, un ritornello coinvolgente ed un ottimo assolo di chitarra, che ci riporta alla mente le tipiche fughe vanhaleniane. Si rallenta un po’ con “Angry Machine… of Love”, un mid-tempo con le chitarre in assolo all’unisono; “Smell the fire” è ancora un pezzo dal testo personale, più veloce del precedente, con degli acuti che squarciano l’aria sia in apertura che in chiusura. Il secondo momento saliente è, a nostro parere, “Fight to Dream”, che narra storie di vita vissuta e che vola via troppo presto, tra un coro efficace ed un altro assolo molto interessante. L’unica ballata del disco, come da tradizione, è “No More Heroes”, aperta da un arpeggio acustico, che si evolve in un assolo elettrico; “Heavy Metal”, com’è evidente fin dal titolo, non può che essere un inno alla musica tanto amata dal gruppo: brano d’impatto, che perde qualcosa nel ritornello, ma si riscatta con un bel finale. Un altro pezzo notevole è “Life Passengers”, altra canzone legata a storie di vita, più cadenzata, orecchiabile, crescente nel finale, grazie ad un assolo particolarmente melodico. Il breve, epicheggiante strumentale “Without Waiting…” funge da intro per “…Without Fear”, piuttosto semplice nella sua diretta aggressività, con un lieve miglioramento nel finale; l’album si chiude con la title-track, ancora una volta all’insegna della velocità, oltre che nuovo inno all’universo heavy metal. Il lavoro, in definitiva, non è male, visto che è registrato ottimamente e che le note sono eseguite in modo tecnicamente impeccabile, però, a parte qualche brano che spicca un po’ di più, l’impressione è di un disco che non decolla come potrebbe, viste le enormi potenzialità di base; per intenderci, è un album compatto, senza cadute di tono, ma manca quella marcia in più che potrebbe farlo diventare capolavoro. A nostro parere - com’è ovvio, strettamente personale - basterebbe curare un po’ di più i ritornelli, visto che abbiamo trovato superiori proprio i pezzi dove il ritornello emerge prepotente e che, verosimilmente, saranno efficaci in sede di concerto dal vivo, naturalmente senza che questo implichi un avvicinamento all’eccessiva orecchiabilità del pop ed alla conseguente svendita dei valori musicali e comportamentali del gruppo. Consigliamo questo disco ai metallari di vecchio stampo ed agli amanti dell’hard rock, visto che il solismo è presente in ogni brano ed è arricchito qua e là dalle tastiere, ma anche agli oltranzisti dei settori più estremi, perché, se saranno di vedute aperte, impareranno che l’impatto non nasce soltanto da una batteria impazzita nel rincorrere tempi degni di una drum machine, ma può derivare, come nel caso dei Burning Black, anche da una sezione ritmica che sappia il fatto suo, visto che questi ragazzi sono riusciti a creare un autentico muro sonoro, tecnico, proprio per questo non facile da abbattere. 85/100
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Massimo De Nardi: Voce Anno: 2008 |