Date una chitarra in mano a Jason Molina, esiliatelo da qualche parte in Scozia, aggiungeteci un percorso profondo nel suo io ed ecco che arrivano, ad una ad una, tutte le atmosfere cupe delle 9 track di The Lioness.
Jason Molina assomiglia molto ad uno di quei bravi ragazzi, di quelli che dicono la cosa giusta, nel posto giusto, al momento giusto, un po’ sbruffone/giocherellone ma come sempre accade in queste occasioni, ecco che la maschera viene calata sotto i toni di un album il cui genere è tuttora indefinito, mostrando la acuta sensibilità e il rivoluzionario percorso introspettivo. Un suono livido, variato in alcuni tratti da organi in sottofondo e da corde di bassi che a volte fanno da padroni, scavalcando i toni tetri della chitarra. The Lioness è un album triste e funereo, da evitare nei momenti di sconforto o da catapultarti dentro quando sai che peggio di così non può andare. Molina ha messo il meglio di se e dei suoi sentimenti nei primi due brani, “The Black Crow” e “Tigress” e nella title track, dove i riff di basso e chitarra, accompagnati da un drum machine appena accennato ti riportano a giornate di pioggia e dolori ormai superati, mentre i vocalizzi finali e strazianti ti entrano nel profondo, dandoti conforto quando capisci che la sofferenza è parte di ognuno di noi. Urla Jason Molina, urla nella sua “The Black Crow”: "I’ m getting weaker and I look down and see the whole world and it’ s fading it’ s fading it’ s fading" - mentre le chitarre avanzano imperterrite, prendendosi tutto, prendendosi la mente, i sensi, il dovere, annaspando sulle ultime gocce di anima che rimangono e infine, strazianti e affievolite se le portano via dissolvendosi veramente in quel piccolo mondo che circonda ognuno di noi. Più accesi e ritmati i toni di “Nervous Bride”, dove Molina sembra prendere aria e respirare dopo una lunga apnea, per poi ritornare nelle profondità abissine con “Coxcomb Red”, caratterizzata da un unico giro di chitarra e la voce malinconica, spezzata da pianti silenziosi, dell’autore. L’album va poi ad affievolirsi sotto le note delle ripetitive “Back on Top” e “Baby Take a Look” per poi spegnersi sui toni di chitarra di “Just a Spark”, dove l’esausto e distrutto Molina cerca di completare con decenza un album straziante per i sensi e per il cuore e con fatica rimediare alle proprie pene. 80/100
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Jason Molina: Voce, chitarra Anno: 2000 |