Era da un bel po’ di tempo che non ascoltavamo un album di classic metal, visto che oggi il mercato heavy metal, pur poverissimo in confronto a quello pop, impone quasi esclusivamente altri settori, evidentemente più “commerciali” e vendibili, come power, gothic e black: ben venga, quindi, la prima fatica dei bolognesi Tarchon Fist, che colpisce la nostra attenzione come un fulmine a ciel sereno.
Il paragone non è casuale, visto che la copertina raffigura qualcosa di simile ad una tempesta elettromagnetica, mentre il retro mostra l’interessante soggetto di un antico trono in pietra, per accedere al quale occorre salire sette gradini, difeso da due lupi famelici, con un marchio sulla fronte. Tale simbolo è una “T”, che (come illustratoci da una biografia dettagliata) rappresenta l’iniziale di Tarconte, divinità etrusca, uno dei possibili fondatori della città di provenienza del gruppo, che, già a partire dal nome, rende così omaggio al leggendario dio della pioggia e più in generale, alle proprie radici - comportamento apprezzabile in tempi in cui le proprie origini sono considerate un peso di cui disfarsi, per abbracciare un mondo nuovo, ma privo di sentimenti ed ideali. Il promo in nostro possesso non è un semplice CD, ma contiene varie tracce multimediali di pregevolissima fattura: contenuto molto elegante, ben strutturato, quindi, a partire dall’intro, un filmato di circa trenta secondi che ci mostra la band in concerto, con inquadrature ravvicinate di musicisti e strumenti. Addentrandoci nella multimedialità, troviamo, in pagine separate, la biografia del gruppo (scaricabile in italiano, inglese, tedesco e francese) e la storia di Tarconte, i testi delle canzoni e la discografia, molte foto, due videoclip ed alcuni sfondi per il computer, infine i contatti degli strumentisti e dell’etichetta. La produzione è talmente curata che si può scegliere se visualizzare il tutto con la grafica “hi-fi”, dove i tasti sono simili a quelli di un lettore digitale, oppure con la grafica “heavy-duty”, con comandi simili a quelli che potremmo trovare in qualche dispositivo elettromeccanico presente nelle fabbriche. Prima di passare alla recensione propriamente detta, ci sembra doveroso un cenno ai due videoclip: “Eyes Of Wolf” si apre e si chiude con le immagini di un lupo e di un occhio umano, inframezzate da riprese dei Tarchon Fist, sia in sala prove che in concerto, di buona qualità video. “It’s My World” è più elaborato, visto che, oltre a mostrare il gruppo mentre suona, racconta la storia di una ragazza occhialuta e studiosa, che ripone i libri nello zaino ed esce di casa, indossando una vistosa minigonna e salutando il padre, molto compiaciuto della diligenza della figlia. Lungo la strada, la ragazza incontra due amiche dall’inequivocabile tenuta metallara, così abbandona libri ed occhiali e stravolge la propria estetica, truccandosi pesantemente ed indossando una maglietta dei Tarchon Fist ed un giubbotto di pelle. Il padre, tipico perfetto perbenista, non accetta tale trasformazione, arrabbiandosi notevolmente, dato che era ampiamente soddisfatto nel vedere la figlia omologata alle altre frivole ragazze della sua età, mentre la novità turba improvvisamente il suo quieto vivere. Il videoclip continua mostrando le tre ragazze che si siedono su una panchina a chiacchierare, sorridenti, in particolare la protagonista, che alla fine riesce a riconciliarsi col padre e ad ottenerne la fiducia; il genitore ha capito che la figlia ha un proprio modo di vivere, differente dalla tradizionalità con cui egli ha sempre guardato il mondo, ma pur sempre onesto, anche se può dar fastidio all’ipocrita occhio sociale. Dopo questa lunga, ma necessaria introduzione, passiamo a recensire il disco, forte di undici pezzi, per un totale di circa cinquanta minuti, ben registrati e ben interpretati dai musicisti, persone di esperienza ed attitudine notevole. L’inizio è affidato a “Metal Detector”, tipico inno all’heavy metal, dal riff pregevole e dal coro possente; segue “It’s My World”, altro valido brano, illuminato da una grande prestazione vocale, da brividi, canzone probabilmente autobiografica, in cui qualsiasi metallaro di vecchia scuola si può riconoscere, visto che un tempo c’era più senso di appartenenza al settore. “Football Aces” è più cadenzato, un po’ più banale, se vogliamo essere pignoli, importante, comunque, per il solo fatto che è una pesante denuncia contro il corrotto mondo del calcio, che gravita attorno a doping, veline, miliardi, televisione, immagine ed ha dimenticato il vero significato dello sport. La famosa filastrocca “Giro giro tondo…” apre intelligentemente “Bad Man Mania”, brano antipedofilia, sicuramente ottimo in sede live, per via dei cori; “Ancient Sign Of The Pirates” è veloce, a tratti epica, dotata ancora di un buon coro e di un interessante assolo di chitarra. L’accoppiata costituita da ”Black Gold Fever” e ”No More Walls” verte su problemi di attualità internazionale, come i problemi causati dalla brama di petrolio e le conseguenti guerre tra il mondo occidentale e quello islamico: il primo è cadenzato, con influenze hard rock, il secondo un po’ più aggressivo, anche se leggermente ripetitivo. “Blessing Rain” è l’unica lenta dell’album, come nella migliore tradizione: il pezzo, di stampo tipicamente maideniano, è basato su riflessioni personali, ma ancora una volta ampiamente condivisibili; “Eyes Of Wolf” inizia con l’ululato di un lupo, che subito lascia spazio ad uno speed aggressivo, per un finale tipicamente anni ’80. Lo strumentale “Doc Hammer” è solo il preludio per “Carved With Fire”, power tirato, con un coro in latino, purtroppo relegato in sottofondo, ed un altro in inglese, più in evidenza; dopo circa cinque minuti, giunge il silenzio, presto interrotto da effetti digitali, futuristici, tendenti all’underground atmosferico: forse un modo per evidenziare la differenza tra il mondo che abbandoniamo, antico, ma ricco di emozioni e quello che ci aspetta, dove perfino i sentimenti sono digitalizzati e non lasciano nulla, se non un oppressivo gelo nell’animo. Non c’è solo nostalgia, comunque, nell’attitudine dei Tarchon Fist, visto che l’album è intriso di elementi “tradizionali”, ma suona attualissimo, a dimostrazione del fatto che, per essere "moderni", non c’è obbligo di ipervelocità, cori femminili o tastiere, ma bastano musicisti tecnicamente preparati, nonché produttori e fonici che conoscano il loro mestiere. Il riferimento naturale, è vero, sono i gruppi leggendari, come, per esempio, Iron Maiden, Kiss, Van Halen o Skid Row ed è inevitabile trovare qualche nota simile a qualche gemma del passato, ma non ci sentiamo di condannare gli emiliani per questo, visto che non è facile essere sempre originali quando si appartiene orgogliosamente ad un settore le cui pagine memorabili sono già state scritte quasi trent’anni fa; è notevole e da portare ad esempio, quindi, la rielaborazione delle coordinate tradizionali in veste moderna, riuscendo là dove le leggende, purtroppo per noi, non osano più. Un lavoro che consigliamo, quindi, agli hard rockers ed ai veri defenders, a tutti gli amanti dell’assolo ed anche a tanti di quei metallari moderni che hanno sempre snobbato il settore, che per loro è superato e soporifero, perché potrebbero trovarvi qualche elemento valido, oltre a grandi insegnamenti, musicali e soprattutto sociali, visto che altri settori non offrono granchè, se non un po’ di distorta aggressività fine a sé stessa, spesso e volentieri ricca di apparenze, ma carente di contenuti. 88/100
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Luigi Sangermano: Voce Anno: 2008 |