Il suono espresso dai Crown the Lost viene pubblicizzato come “melodic thrash metal” ma, come vedremo, tale definizione non è perfettamente aderente alle coordinate musicali degli statunitensi, tre dei quali sono oriundi italiani, come si evince leggendone i cognomi. Il loro secondo album, intitolato “Blind Faith Loyalty”, si rivela piuttosto raffinato fin dalla copertina, che è stampata in un elegante bianco e nero e raffigura una donna bendata, priva di braccia, ma, in compenso, fornita di un vistoso paio d'ali. Non è l'immagine che conta, però, bensì il contenuto sonoro: la copia promozionale in nostro possesso, priva di testi, dura quasi un'ora, dato che è formata da brani di media durata. Si inizia con la velocissima “Defame the Hypocrites”, che sfrutta la seconda voce death in appoggio a quella solista, di stampo classic, mentre “Drawing the Parallel” è più tradizionale, ma altrettanto veloce. Su “Bound to Wrath”, lievemente più lenta, si presenta nuovamente la seconda voce; “Symbiotic”, invece, si lascia ricordare per un assolo molto elaborato che spezza la furia thrash. Si continua con “Finality” e “Dreaming in Reverse”, entrambe basate su parecchi cambi di tempo: la prima tendenzialmente thrash, la seconda più melodica, con tanto di cori. L'immediata “Privation” e la successiva “Impose your Will”, dal ritmo molto melodico, utilizzano ancora la doppia voce, mentre “Hollow Refuge”, più compatta, è seguita dalla conclusiva “Blind Faith Loyalty”, dal perfetto equilibrio tra aggressività e melodia. In conclusione, ci troviamo davanti ad un disco molto bilanciato tra tecnica ed aggressività, “aggraziato” senza che ciò significhi risultare leggero. Come dicevamo all'inizio, ci sembra un po' carente l'etichetta “melodic thrash metal”, visto che i Crown the Lost mescolano una velocità tipica dello speed ad un solismo di stampo classic metal, con l'aggiunta di una ritmica thrash e di alcune accelerazioni abbastanza vicine a quelle prog; inoltre, risulta efficace l'alternanza tra il timbro solista (che ricorda, con le dovute distanze, alcune tonalità halfordiane) e la seconda voce, che interviene quando occorre maggiore aggressività, dando luogo a dei passaggi ai limiti del death metal. Tutto ciò, s'intende, non è realizzato a compartimenti stagni, azione che avrebbe dato luogo ad un'accozzaglia di suoni rubati ai vari settori dell'heavy metal, bensì è uniformato con competenza e professionalità. Questo è ciò che dovrebbe essere definito “new heavy metal”, non certo quel rap distorto e minimale a cui alcuni discografici hanno dato la dignità di chiamarsi “metal” senza che possedesse i fondamentali per definirsi tale - l'operazione, spudoratamente commerciale, venne giustificata con la scusa che era la globalizzazione stessa ad imporre un cambio di rotta musicale e che occorreva modernizzare il vecchio e superato metallo, contaminandolo con altri generi musicali (nettamente più graditi al sistema). Purtroppo per questi servi del potere, però, l'epoca dell'allegra contaminazione e delle clamorose svendite discografiche spacciate per modernità è terminata, visto che oggi c'è impellente bisogno di roba seria anche dal punto di vista musicale, che dia la carica necessaria per affrontare i gravi problemi che il nuovo millennio porta con sè. Proprio perchè quell'utopia si è conclusa anche negli stessi USA che l'avevano ideata, oggi riteniamo opportuno consigliare i Crown the Lost a tutti i metallari, antichi o moderni che siano, perchè, senza rinnegare i fondamentali, aggiornano l'heavy metal, attualizzandolo con una produzione moderna, ma non inutilmente modernista. 75/100
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Chris Renaldi: Voce Anno: 2009 |