Introduzione
Nonostante siano trascorsi vari decenni dal suo esordio e dalle sue prime esibizioni in Italia, un concerto di Ozzy Osbourne rimane ancora un evento imperdibile per parecchie migliaia di appassionati. Riteniamo superfluo ricordare chi sia Ozzy e che cosa la sua figura abbia rappresentato (e rappresenti) per l’hard rock e per le numerose sfaccettature del mondo heavy metal visto nella sua interezza; infatti anche numerosi musicisti esponenti dei cosiddetti “settori estremi” hanno più volte dichiarato che le loro carriere non sarebbero mai cominciate senza quella maligna ispirazione che la leggenda dei Black Sabbath fornì all’epoca ed ha continuato ad infondere loro anche in seguito, fino ai giorni nostri.
Scriviamo, pertanto, questa breve introduzione solamente per venire incontro a quei lettori un po’ distratti che non conoscono nulla riguardo alla carriera di Ozzy Osbourne, ma anche per rinfrescare la memoria ad alcuni estremisti sonori che lo snobbano perché troppo “leggero” in confronto alla “durezza” dei suoni ai quali sono abituati. Dopo un decennio trascorso con i Black Sabbath sui palchi di mezzo mondo ma anche in studio di registrazione, tra realizzazioni universalmente riconosciute come capolavori dell’hard rock e prodotti di ispirazione molto minore, Ozzy ha intrapreso una carriera solistica di risonanza internazionale e di durata ormai trentennale, anche se per forza di cose all’insegna di alti e bassi.
Concerto Labyrinth
Dopo questa doverosa e brevissima presentazione dell’artista, passiamo a raccontare la sua prestazione in occasione dell’unico concerto previsto in Italia in questo periodo, che si tiene di fronte alla suggestiva Villa Contarini di Piazzola sul Brenta, in provincia di Padova. Il caldo é piuttosto spietato già da alcuni giorni in tutta l’Italia settentrionale, ma fin dal primo pomeriggio di fronte ai cancelli si raduna ugualmente un nutrito numero di persone. Purtroppo per i presenti, molti dei quali non abituati a climi del genere, l’ingresso viene ritardato di circa un’ora; va precisato, però, che di tanto in tanto una nuvola concede brevissime tregue a chi attende in una fila piuttosto ordinata. Una volta raggiunto il palco, notiamo che lo spazio riservato all’evento é piuttosto ampio, nonché particolarmente caratteristico per via del magnifico sfondo della Villa Contarini; oltre al tipico stand per la vendita di magliette ed altro materiale ufficiale, sono presenti vari punti di ristorazione distribuiti opportunamente per l’area secondo criteri legati al buon senso.
Anche lo spettacolo dei Labyrinth, gruppo di apertura, inizia in ritardo rispetto alle previsioni, probabilmente per fattori organizzativi e non per decisione autonoma del gruppo. All’apparizione dei musicisti qualcuno inizia a fischiare, probabilmente perché il power metal é un settore che usualmente divide il pubblico metallaro dato che, a quanto pare, si ama oppure si odia e senza mezze misure. Evidentemente appartengono ad una specie in via di estinzione coloro i quali, come chi scrive, si sono sempre posti in una via di mezzo tra queste due poco gloriose e niente affatto indispensabili “scuole di pensiero”: si può certamente apprezzare il power metal per l’altissimo valore tecnico che richiede intrinsecamente, senza esaltarsi più di tanto per certe iper-velocità a volte fini a se stesse o autocelebrative, ma nello stesso tempo sarebbe preferibile evitare di attribuire etichette come “falso metal” o “metal per signorine” ed altre insulse amenità che provengono dalle teorie di alcuni appassionati di impatti musicali di gran lunga più violenti.
I Labyrinth, nonostante i fischi di cui abbiamo appena parlato, si accostano al pubblico con la consueta cordialità, ben sapendo che le persone che hanno davanti sono qui esclusivamente per la leggenda vivente che Ozzy Osbourne incarna, comunque una formazione di notevole esperienza internazionale sa come tenere il palco senza intimorirsi di fronte ad un paragone così ingombrante; la tecnica musicale, come scritto prima, non si può mettere assolutamente in discussione, visto che parliamo di strumentisti impeccabili, tra i migliori in Italia ed in Europa. Tra i brani ricordiamo in particolare una notevole esecuzione di “Moonlight”, circondata da pregevoli momenti di solismo che per oltre mezz’ora hanno strappato applausi ampiamente meritati.
Concerto Ozzy Osbourne
Mentre il sole si nasconde in mezzo alle nuvole e coperto da esse si appresta a calare, l’ora fatidica é ormai suonata. Non si aspetta che l’arrivo di Ozzy Osbourne che sale sul palco sulle note della celebre “Bark at the Moon”, seguita dalla nuova e già conosciutissima “Let Me Hear Your Scream”: quest’ultima é molto differente dalla precedente per ovvi motivi di distanze temporali ma abbastanza apprezzata dalla maggior parte degli ascoltatori, il cui coinvolgimento, però, non é certamente paragonabile all’esaltazione scaturita dall’accoppiata formata da “Mr. Crowley” e “I Don’t Know”. E’ solo l’inizio di una scaletta che ripercorre vari periodi della carriera del cantante; il doom sabbathiano “Fairies Wear Boots” viene rovinato da una brusca interruzione audio che purtroppo si ripete anche durante “Suicide Solution”, in mezzo all’evidente disappunto degli spettatori.
Nel frattempo inizia a piovigginare ma c’é ancora parecchio caldo, così Ozzy decide di tirare delle secchiate d’acqua ai ragazzi delle prime file, che applaudono fragorosamente poiché evidentemente si avvertiva parecchio bisogno di acqua. Si spezza per un po’ il ritmo con la lenta “Road to Nowhere”, quindi Ozzy Osbourne presenta i suoi musicisti, rimproverando un pubblico a volte poco partecipe, come testimonia il fatto che é costretto a chiedere maggiori applausi agli strumentisti non per prassi come si potrebbe pensare, ma perché gli applausi sono realmente un po’ sotto tono. Entrando in dettaglio, il nuovo chitarrista Gus G. é senz’altro all’altezza dell’arduo compito di non far rimpiangere l’esecuzione e l’interpretazione dei pezzi storici, suonati prima di lui da nomi illustrissimi come quelli di Tony Iommi, del compianto Randy Rhoads e di Zakk Wylde; il batterista Tommy Clufetos si rivela molto potente e preciso, mentre poco spazio viene concesso al bassista Rob Nicholson ed al tastierista Adam Wakeman, figlio d’arte, che comunque sono entrambi molto professionali.
Si passa così ad una “Shot in the Dark” che non ci ha mai appassionato più di tanto e che anche stavolta non lascia ricordi indimenticabili, almeno a nostro parere personale; dopo un intermezzo strumentale di alcuni minuti strutturato sulle note della vecchia “Rat Salad” su cui si innestano notevoli assoli, dapprima di chitarra ed in seguito di batteria, un momento di notevole spessore é “Iron Man”, pezzo risalente all’epoca d’oro dei Black Sabbath rinforzato da un’attiva partecipazione del pubblico che si esalta tramite possenti cori. Nel frattempo la pioggia diventa un po’ più fitta ma ciò non basta certo a scoraggiarci, dato che non solo rinfresca l’aria ma per di più rigenera il nostro spirito, ultimamente troppo danneggiato da sgradite tossine di vario genere: in ambito musicale ci ha amareggiato parecchio la recente scomparsa di un Maestro come Ronnie James Dio, che riteniamo opportuno ricordare per i monumentali insegnamenti da lui lasciati al mondo della musica, nonostante questa non sia la sede più adatta per celebrarlo nel modo che sarebbe più consono.
Tornando alla scaletta, dopo la vecchia “Killer of Giants” e “I Don’t Want to Change the World” di poco più recente, un’intensissima “War Pigs” ci mostra senza troppe metafore la desolata condizione in cui versa l’uomo: scritta contro la guerra del Vietnam, la canzone si dimostra ancora attualissima, dato che le classi dominanti a livello planetario non hanno tratto alcuna lezione da quanto avvenuto in passato, visto che le guerre abbondano anche oggi e su ben più di uno scenario. Si passa quindi a “Crazy Train” che scatena letteralmente l’apoteosi, ma non é ancora finita perché rimane tempo per un solo bis, così Ozzy Osbourne, acclamato a gran voce, ci regala una prevedibile ma eccellente “Paranoid”, canzone che ha fatto la storia non solo dell’hard rock, ma anche del rock nel senso più vasto del termine e che pertanto merita la lunga ovazione finale. Con il sottile rimpianto di non aver potuto ascoltare altri pezzi storici, come per esempio “Children of the Grave”, “Sabbath Bloody Sabbath”, “Symptom of the Universe”, “Goodbye to Romance” e “Mama, I’m Coming Home”, ci avviamo verso l’uscita, senza dubbio piuttosto soddisfatti.
Valutazioni di natura fisica e tecnica
Riteniamo che a questo punto sia opportuno non concludere semplicemente con un parere di stampo musicale, ma anche con una valutazione che tocca un ambito leggermente differente: a nostro avviso, la prestazione di Ozzy Osbourne non va valutata esclusivamente da un punto di vista strettamente musicale, bensì collocata in un preciso contesto temporale ed osservata sia dal punto di vista della sua carriera che da quello della sua vita personale.
Come premessa, non possiamo non evidenziare l’enorme indignazione che proviamo ogni volta che vediamo parecchi “predicatori”, presenti quotidianamente sui forum di siti Internet più altolocati del nostro, che etichettano sistematicamente Ozzy Osbourne con epiteti dispregiativi. Citiamo solo i più benevoli e censuriamo volutamente quelli che superano i comuni canoni del buon gusto: entrando in dettaglio, ci capita spesso di leggere che Ozzy è ritenuto un “cialtrone”, un “buffone” o un “pagliaccio”. Troviamo che a questo punto sia un esperimento interessante non tanto il prendere le difese di Ozzy, che di certo non bada a queste offese che provengono da adolescenti inesperti o da adulti mal cresciuti, ma più che altro il calarci nei panni di Ozzy Osbourne stesso, dando così spazio ad alcune riflessioni.
Il cantante, come é noto, non ha più vent’anni ed inoltre ha trascorso lunghi periodi della sua vita in mezzo ad eccessi di ogni genere, per via dei quali il suo fisico ed il suo cervello hanno inevitabilmente subìto effetti devastanti: quanti dei metallari di cui sopra - che a parole si professano diversi dalla massa, ma nei comportamenti e nei pensieri sono perfettamente equivalenti a certi personaggi televisivi di moda che sputano sentenze e prediche dal pulpito della loro ignoranza, come del resto ormai usa fare buona parte della società attuale, per emulazione o per assuefazione al fenomeno diseducativo - se fossero stati soggetti allo stesso modello di vita condotto da Ozzy, avrebbero affrontato un concerto di un’ora e mezza senza un puntello che li sostenesse? Ozzy Osbourne, senza alcuna offesa per lui, é da considerare come un reduce di un periodo straordinario ma altamente drammatico, dato che molti suoi colleghi illustri ci hanno lasciato già da parecchio tempo, quindi é già tanto che sia ancora in grado di calcare i palchi di mezzo mondo.
Va anche detto in modo critico ed obiettivo, cioè lontano dai fanatismi, che la voce di Ozzy Osbourne non é mai stata particolarmente estesa né siamo mai stati abituati a romantici lirismi in stile Greg Lake neppure negli anni della sua giovinezza, infatti secondo noi la voce ha retto degnamente l’impatto con gli anni. Il fisico, non più giovanissimo e segnato dagli abusi (nonostante una ragazza, evidentemente molto interessata, regga un cartello con su scritto “Ozzy naked”), lo ha comunque sorretto discretamente, dato che Ozzy, in maniche lunghe, si é spostato numerose volte da una parte all’altra del palco sotto un caldo torrido per via del clima e dei riflettori e, battendo le mani a tempo, ha continuamente incitato un pubblico a tratti poco caloroso: un comportamento apprezzabilissimo se solamente pensiamo che non più di una decina di anni fa era stato dato praticamente per spacciato (e non in senso musicale, ma proprio dal punto di vista della salute) da giornalisti accreditati su giornali specializzati ancora oggi molto in auge.
Certamente é possibile anche che siano i medicinali imposti dai dottori su pressione manageriale a tenere in piedi quella che per loro non é altro che una “gallina dalle uova d’oro”, spremuta fino al punto da giungere a proporle un’imbarazzante quanto redditizia trasmissione televisiva impostata sulla propria disastrosa vita familiare. E’ evidente che lo star business poggia su regole spietate e che c’é ancora interesse per Ozzy, che altrimenti non tornerebbe a suonare a Milano in settembre. Ad ogni modo, nel guardare quell’uomo che avvicina la testa al microfono esattamente come gli avevamo visto fare in affascinanti filmati giovanili dai colori poco nitidi, non possiamo non leggere un reale bisogno di un appoggio: un’autentica sofferenza che, sebbene celata mediante l’interpretazione coreografica del brano, appare ugualmente intatta nella sua pulsante tragicità e sopportata senza eroismi di alcun genere, ma soltanto con fatica, dolore ed incommensurabile professionalità.
Conclusioni e riflessioni finali
In conclusione, Ozzy Osbourne ci ha offerto tutto se stesso, regalandoci tutto ciò che il fisico gli ha permesso. Non possiamo quindi parlare di un brutto spettacolo, piuttosto del contrario: una prova interessante, melodica e potente nello stesso tempo, ben interpretata da Ozzy ed egregiamente supportata dagli strumentisti, improntata più alla celebrazione dei successi del passato che alla presentazione del nuovo album, scelta che in fondo soddisfa lo zoccolo duro dei fan, tra cui erano presenti anche parecchi ultracinquantenni, probabilmente appassionati della prima ora. Troviamo inutile fare il paragone con i concerti di venti anni fa come fanno alcuni che pretenderebbero che il tempo non passasse mai, ma preferiamo valutare l’esibizione in sé per quello che é stata, cioè l’appuntamento con quello che per noi é molto più di un semplice artista.
Non c’è retorica nello scrivere che per noi Ozzy Osbourne é come un amico o un parente che ci é stato vicino in tanti momenti esaltanti o dolorosi della nostra vita e che ci ha lasciato ricordi indimenticabili, come ad esempio quello legato al giorno in cui comprammo il suo primo lavoro da solista: ancora adolescenti ed armati di parecchio fanatismo, lo acquistammo appositamente per dimostrare ai benpensanti – ne conoscevamo e ne conosciamo ancora parecchi, nostro malgrado - che la colpa del celebre episodio del suicidio di un ragazzo negli USA era da attribuire al suo profondo disagio interiore e non ad una innocua musicassetta (a vantaggio dei lettori più giovani, precisiamo che all’epoca i CD non erano ancora diffusi come adesso) che il ragazzo in questione era solito ascoltare e che conteneva il brano “Suicide Solution”, come i falsi perbenisti americani ed italiani predicavano strumentalmente tramite una vera e propria crociata anti-heavy metal!
Com'é evidente, chi scrive é ancora vivo e vegeto nonostante abbia ascoltato quella canzone per quasi vent’anni, pertanto il lettore – veramente paziente e comprensivo, dato che é arrivato a leggere fin qui; a tal proposito gli rivolgiamo le nostre scuse per la prolissità causata dalle forti emozioni che la musica di Ozzy Osbourne si porta dietro – potrà dedurre da sé cosa rappresenti “lo zio Ozzy” per noi metallari d’altri tempi e cosa si provi nel vederlo finalmente dal vivo e nel constatare che in fondo anche lui, come noi, nel bene e nel male é ancora sulla breccia: il simbolo vivente di più generazioni di ascoltatori appassionati, un’icona splendente di aurea leggenda e nello stesso tempo un remunerativo prodotto di mercato, il confessore ed il confidente di tanti momenti particolari che non si possono dimenticare poiché dimorano nei luoghi più bui, nascosti e profondi dell’anima, cioè - se vogliamo - quelli più simili all’inferno, luogo dove il doom brucia perenne e risuona eterno.
Data: 01/01/2011
Luogo: Piazzola sul Brenta (PD) - Villa Contarini
Genere: Hard Rock/Heavy Metal
Setlist:
01. Bark At The Moon
02. Let Me Hear Your Scream
03. Mr Crowley
04. I Don't Know
05. Fairies Wear Boots
06. Suicide Solution
07. Road To Nowhere
09. Shot In The Dark
10. Rat Salad + guitar & drum solo
11. Iron Man
12. Kilelr Of Giants
13. I Don't Want To Change The World
14. War Pigs
15. Crazy Train
16. Paranoid