Scritto da Gianluca Livi Sabato 05 Marzo 2016 19:42
Dopo l'esperienza con il Biglietto per l'Inferno, il tastierista Giuseppe "Baffo" Banfi intraprende una carriera solista devota alla musica elettronica tedesca. Attratto dal verbo di Klaus Schulze dei Tangerine Dream, da lui incontrato nel corso della tournée del Biglietto del 1975 (Schulze era stato contattato per essere il produttore del secondo album del gruppo, poi non realizzato), pubblica in Italia Galaxy my dear, da lui interamente suonato, molto vicino alla musica cosmica tedesca e, nel 1979, il secondo Ma, dolce vita, registrato proprio per la Innovative Communication, l'etichetta del musicista tedesco. |
Scritto da Gianluca Livi Martedì 16 Febbraio 2016 23:25
Che questo disco debba considerarsi un masterpiece è fuori di dubbio. Meno certo, invece, che ciò sia dovuto alla presenza di Jimmy Page, qui relegato a mera comparsa, semplice gregario al servizio di altri. |
Scritto da Luca Driol Domenica 07 Febbraio 2016 23:13
Una chitarra in odor di flamenco, impasti vocali degni dei migliori The Byrds e una sezione fiati mariachi che inaspettatamente ruba la scena agli altri strumenti, il tutto condito da archi e arrangiamenti sopraffini: questa è “Alone Again Or”, opener e biglietto da visita di “Forever Changes”, uno degli album più riusciti degli anni ’60 e zenit dell’arte dei Love.
Il geniale Arthur Lee, dopo due album di acida psichedelia dominata da tre chitarre, dei quali il secondo (“Da Capo”) è imperdibile, decide di allentare la tensione elettrica e inserire elementi folk, chitarre jingle-jangle, archi e melodie malinconiche: quello che ne scaturisce è una raccolta epocale di canzoni di incredibile fascino.
Considerato dalla critica un album di rock psichedelico, in realtà “Forever Changes” è lontano da album coevi di colleghi più noti quali Jefferson Airplane, Grateful Dead e The 13th Floor Elevators: qui la melodia detta legge e gli strumenti aggiunti (viole, violini, violoncelli, trombe e tromboni) non creano paesaggi onirici o derive lisergiche, ma arricchiscono ulteriormente una proposta musicale già di per sé eccellente.
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Scritto da Jacopo Giovannercole Venerdì 05 Febbraio 2016 22:08
Abbigliamento impeccabile, atteggiamento felino, irrequieto e romantico: così si presenta Willy DeVille all’alba di uno degli album più importanti della sua produzione, “ Coupe De Gràce”, che qualcuno ha trovato troppo “Classic Rock” per poter avvalersi dello status di pietra miliare della sua produzione. La band, quei Mink De Ville che accendono per bene i motori quando serve, si aprono a soluzioni musicali più ad effetto rispetto ai tre album precedenti fatti di notti insonni trascorse pestando in modo forsennato il piede sul palco del CBGB’s. Basti ascoltare il bellissimo sax di Lou Cortelezzi, che non viaggia lontano dai panorami urbani disegnati da Clarence Clemons della E Street Band di Bruce Springsteen. Ma non c’è solo il sax a caratterizzare i contrappunti di queste dieci caratteristiche perle, c’è un organo pastoso ( “ She Was ade In Heaven” ) che crea una spaziosità tale da permettere agli altri strumenti di emergere in modo disciplinato ed estremamente creativo. Ci sono le chitarre spagnole di “ You Better Move On” e “ End Of The Line” quest’ultima uno dei masterpieces dell’album. Il tutto è coadiuvato da un teatro di percussioni che pervadono i brani regalando quel tocco ispanico ed esotico mai fuori luogo,utilizzato in modo poetico e sinonimo di una epicità di strada stralunata, storie di malaffare che diventano, pasolinianamente, storie di vita. |
Scritto da Luca Driol Sabato 16 Gennaio 2016 19:17
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Scritto da Gianluca Livi Martedì 24 Novembre 2015 21:21
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Scritto da Giovanni Loria Lunedì 23 Novembre 2015 17:43
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Scritto da Giovanni Loria Giovedì 12 Novembre 2015 23:10
Un nome insignificante, copertine idem... ecco perchè mi ero dimenticato dei City Boy. Fin quando il caporedattore di Artists and Bands me li ha fatti tornare in mente, cosa per cui gli sono ovviamente grato. |
Scritto da Gianluca Livi Mercoledì 11 Novembre 2015 22:31
Ecco quello che si dice un masterpiece nel senso stretto del termine: l'omonimo esordio degli statunitensi Airborne, un quintetto che annoverava cinque vocalist e almeno due polistrumentisti, è un fantastico disco di AOR che sarebbe ingiusto definire derivativo, giacchè esso stesso si colloca nelle posizioni alte degli archetipi presi a riferimento. |
Scritto da Bartolomeo Varchetta Sabato 24 Ottobre 2015 12:13
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