Erano i primi mesi del lontano 1978, quando una delle formazioni americane più originali ed influenti nell’ultimo trentennio della storia del rock, dava alla luce il suo primo grande album: Static Age.
Ma l’ironia della sorte vuole che questa prima fatica discografica sia pubblicata per intero solo nel 1997, cioè a distanza di quasi vent’anni dalla sua registrazione originale. Benché in seguito i Misfits siano stati ricordati soprattutto per esser stati gli alfieri di un punk rock grezzo e caratterizzato da innumerevoli riferimenti alla cinematografia dell’orrore, questo primo lavoro invece può essere definito un autentico gioiello di rock gotico, oscuro ed evocativo, attraente ed orrificante al tempo stesso. È interessante osservare – come si può leggere nelle note di copertina – che le registrazioni di quest’album furono finanziate da un’altra etichetta discografica che, a causa di una omonimia con l’etichetta fondata dai Misfits (la Blank), offrì loro trenta ore di registrazione in uno studio professionale in cambio della possibilità di poter usufruire del nome. I ritmi vorticosi e lineari di quel punk rock che tanto li rese celebri, non sono ancora del tutto presenti (eccetto che in “Bullet” e “Attitude”), infatti, il drumming (ad opera di Mr. Jim, primo batterista della formazione) suona prevalentemente garage rock. La chitarra sferragliante di Franché Coma è accompagnata fedelmente dal basso martellante di Jerry Only (un nome che con il passare del tempo è divenuto praticamente un mito), macinando all’unisono riff oscuri e rumorosi, dove a farla da padrona è la carismatica voce del leader della band Glenn Danzig. Oscura ed evocativa, la sua voce ricorda volontariamente altri grandi nomi del rock quali Jim Morrison, Elvis Presely e Roy Orbinson. Benché egli non si sia ancora tramutato in quel muscoloso semidio del metal che tanto successo riscosse negli anni Novanta, il giovane Danzig riesce ugualmente a tessere atmosfere drammatiche e rabbiose, evocative e mitiche, che fungono da critica alla nostra società: “Ho qualcosa da dirti”, canta ironicamente Danzig, “ho ucciso il tuo piccolo quest’oggi” (Last Caress). L’urlo del giovane Danzig è una prosa brutale di una società che non ha più nulla da dire, che descrive storie di kafkiana alienazione (Static Age), di ribellismo giovanile attraverso il riciclo allegorico del titolo di un vecchio B-Movie (Teenagers From Mars) e di angosce esistenziali ispirate da “Il Corvo” di Edgar Allan Poe (Come Back). In questo contesto, Danzig è il novello cantastorie di situazioni al limite dell’immaginazione, dove l’orrore del mondo di celluloide è utilizzato come metafora di realtà spesso ben peggiori della finzione (un valido esempio è “Bullet”, dedicata all’omicidio di John Kennedy). Come scrive nelle note di copertina Dave Achelis (sound engineer e produttore di Static Age): “È difficile credere che abbiamo fatto queste registrazioni quasi vent’anni fa. Che suonino ancora grandi e che stiano attirando un pubblico tutto nuovo anno dopo anno non è una sorpresa per me poiché queste canzoni sono davvero senza tempo”. Credo che non ci resti altro che dargli ragione, soprattutto se si tiene conto del fatto che band di successo quali Metallica e The 69 Eyes mostrino apertamente tutta la loro stima e devozione nei confronti dei Misfits. |
Glenn Danzig: Voce / Testi Anno: 1978/1997 Sul web: |