Il secondo lavoro ad opera dei Nine Inch Nails data ben un lustro di distanza dal precedente, Pretty Hate Machine, tuttavia come nell’album di partenza, è presente, in parte, una leggera ripetitività di fondo da ascriversi probabilmente alle non infinite possibilità del programming.
L'impressione, non semplice da comunicare è che ogni brano abbia delle sue spiccate peculiarità, ritmiche, melodiche, anche di struttura, ma che in taluni casi i beat programmati uniformino eccessivamente il suono, rendendolo monotono. Le qualità, per converso, sono numerose: dalla base industrial, sferzante, di impatto e sempre molto accurata, si oscilla sovente da movimenti più pacati e suggestivi, frequentemente all’interno dei medesimi brani. L’esordio dell’album è originale e già anticipa la violenza del brano successivo: colpi secchi, accompagnati da gemiti, che crescono in velocità fino a raggiungere il rapidisimo bpm di “Mr Self Destruct”. Ritmo tiratissimo, testi sconvolgenti (“I am the voice inside your head (and I control you”) ed il chorus devastante, invece a metà brano si sviluppa un'inaspettata flessione della tensione, che determina un ottimo risultato finale. “Piggy”, è un pezzo lento, quasi drum’n’bass, e dalle sonorità particolarmente accattivanti, brano tra i più suggestivi del disco. Il terzo brano, “Heresy”, si presta ad una lettura parodistica: tastiere e suoni delle chitarre sono vistosamente stile pop anni ’80, cosi' come la strofa è cantata in falsetto. “The March Of The Pigs” in qualche maniera sembrerebbe confermare una linea dissacrante tra la violenza professata: andamento che muove da uno stile quasi punk molto tirato, fino a pervenire ad un mutamento di ritmo improvviso che scivola in una chiusura con pianoforte lounge delicatissimo, il testo è venato da una ironia altrettanto sconcertante (“take the skin and peel it back / now doesn’t it make you feel better?). “Closer”, ha un ritmo incontenibile, quasi funky, e glamour è il medesimo testo. La susseguente “Ruiner” è un pezzo costruito un pò debolmente, base industrial tradizionale, si segnala per un distorto solo di chitarra vitalizzante. Per “The Becoming”, i NIN ricorrono ad una mole enorme di effetti che muovono su di una base ritmica molto decisa e piacevole, risulta inframmezzata da alcune linee di chitarra acustica ben innestate e significative. “I Do Not Want This” è esaltante per la scelta ritmica singolare, e per i testi che impongono l’attenzione all'ascoltatore. Invece “Big Man With A Gun” costituisce un rapidissimo interludio centrato sull'immagine evocata da una pistola a chi la tiene tra le mani, soprattutto se quest'ultima è puntata alla tempia di un pavido uomo. La successiva, strumentale, “A Warm Place”, è un lineare pezzo d’atmosfera, colonna sonora per “Natural Born Killers" di Oliver Stone assieme anche a "Burn". Continuando l’ascolto, si perviene ad “Eraser”, altra vetta dell'album, per tre quarti strumentale, e dalla porzione terminale cantata dapprima quasi sussurrata, poi violentemente gridata. Musicalmente pregevole ed emotivamente incisiva. “Reptile”, il brano successivo, non contiene nulla di propriamente originale, eccezion fatta per alcuni ritagli rumoristici sicuramente molto particolari. Penultimo pezzo di The Downward Spiral è la title track, che scivola con alcune pacate note di chitarra acustica su di uno straniante e lieve sottofondo, che mima il missaggio di un soffio di vento e di acqua che fluisce, dal sapore singolarissimo: la quiete prima della distruzione. Prematuramente il tutto deflagra, come il colpo dalla pistola del protagonista della canzone contro la sua tempia, e la musica si trasforma in un urlo che percuote all’infinito, sul quale si apprezza il testo cupo, sussurrato, recitato in modo asettico (“He couldn’t believe how easy it was / he put the gun into his face / Bang! / (so much blood for such a tiny hole) / Problems have solutions / a lifetime of fucking things up fixed in one determined flash”). La conclusione viene assegnata alla superba e cheta “Hurt”, con il suo armonioso arpeggio di chitarra acustica, ottimamente incastonato alla voce, e con il suo testo disperato e aperto alla speranza, che va a serrare, per la chiusura un dilaniante finale colmo di rumore The Downward Spiral è un eccellente lavoro, con un ventaglio più ampio del predecessore, che concede qualcosa in termini di novità, ma che si rivela comunque estremamente intenso. |
Trent Reznor: Voce Anno: 1994 Tracklist: Sul web: |