All'Ep Glycerine State il duo genovese degli Spleenveil fa seguire l'album Poltergesit, un lavoro che per la maggior parte del tempo bada ad inseguire canovacci sonori fortemente indebitati con i maestri d'oltremanica, accumulando pezzo dopo pezzo reminiscenze di gruppi trip-hop come i Lamb e suggestioni mutuate sulla falsa riga del dream-pop.
I loro brani sono spogli di forti elementi riconducibili alla musica nera (concentrandosi moderatamente sulla qualità atmosferica degli effetti sonori) e poggiano su fragili melodie cantilenanti (ma senza gli ammassi di chitarre stratificate), difatti ottenendo una sintesi definibile come “trip-pop”, cui manca la sofisticazione lussureggiante propria del “viaggio mentale” in veste elettronica quanto l'immediatezza da bubblegum inerente nell'easy listening pura. Sebbene inframezzati da momenti più o meno nervosi, "Grave of Clouds", "Candid" e "Kirlian" sono carillon che cercano terreno comune fra il paesaggio sonoro post-Bristol e la ballad malinconicamente orecchiabile. Questo motivo ricorrente del gruppo trova sfoghi quasi-progressive nell'alternarsi di sussurri e vocalizzi prima languidi e poi urlati della tesa "Segrets of Angels", forse vertice dell'intera raccolta, in cui l'elettronica scenografa semplicemente mosse d'accompagnamento psicologico al canto. "Kind Motive" da parte sua mostra un martellante innesto hard-rock, mentre la scattante "Joute Chagrim" assorbe ritmiche drum'n'bass e rivela allo stesso tempo una curiosa propensione al tentativo di conciliazione con la dinamica piano/forte tipica di linguaggi come il grunge o il nu-metal. "Polar Dew" è invece l'ennesima litania, in cui l'iniezione di rumore nel finale appare più un espediente estemporaneo, quasi casuale, piuttosto che un tratto stilistico. Il disco si conclude con la soffusa trenodia "Janet". Il programma di rivisitazione della canzone rock alla luce del synth (un'idea che va da Suicide e Depeche Mode fino ad arrivare a Pet Shop Boys e Nine Inch Nails) qui ritorna praticamente in un altro scenario. Ma in questo caso l'operazione lascia il fianco scoperto sia in termini di visceralità (quella, per intenderci, che salvava i migliori acts dell'industrial-metal dall'essere solo una valvola di sfogo giovanile, rumorosa al pari di tante altre) sia in termini di studio intellettuale sul suono (quello che elevava i Massive Attack quanto Portishead – e addirittura Morcheeba – al di sopra di una banale alternativa chic alla lounge music ). In questa grammatica di soluzioni alquanto derivative, gli spunti che provano dare vita a queste canzoni per lo più restano tali, senza mai prendere la forma di idee, di linee guida che portino a/si intreccino in un linguaggio personale. All'interno della sostanziale coerenza interna dell'opera, le trame del gruppo non fanno altro che ricalcare stereotipi già battuti. |
Roberta Orlando: Voice, programming, FX Anno: 2007
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