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I Giganti
Terra in bocca, poesia di un delitto

C'è stato nel ventesimo secolo un periodo storico glorioso, gli anni settanta, in cui nella nostra penisola sono stati realizzati un numero sterminato di capolavori musicali, album la cui qualità non era affatto inferiore a quella che si produceva nelle terre inglesi o statunitensi, un fenomeno che per grandezza e splendore mi sento di paragonare alla potenza dell'impero romano.

 

Eppure, nonostante l'altissima qualità di un'opera sublime come quella che mi accingo ad illustrare, la maggior parte del pubblico musicofilo odierno non può usufruirne se non in modi poco limpidi perché ancor oggi, dopo più di quarant'anni, non è possibile reperire “Terra in bocca” con la stessa facilità con cui invece si trovano dischi indecenti dal valore artistico inesistente.

 

Purtroppo è anche così che lo Stato italiano oltraggia la propria cultura, ossia rendendo di fatto inaccessibili al pubblico opere musicali di alto profilo qualitativo. Se ci pensate, non è poi tanto diverso dal lasciare ridotte in cattive condizioni le pellicole cinematografiche che ci hanno reso famosi all'estero e che ancora attendono il dovuto restauro, alla stregua di tanti monumenti logorati dal tempo e dall'incuria, con l'ipocrita scusa della mancanza di risorse finanziarie. Torniamo all'album: i Giganti, gruppo molto noto nei celebrati anni '60 per singoli come “Tema” o “Proposta”, decidono nel 1971 di proporre un discorso musicale in linea con i fermenti musicali dell'epoca, qualcosa di avanguardistico, che si distacchi dalle canzoni beat che hanno eseguito nel decennio precedente. La volontà che ora anima il gruppo è quella di realizzare un concept album, diverso però da ciò che si trova sul mercato (tipo “Tommy” degli Who), un disco che sia socialmente impegnato, in grado di far riflettere la gente su una delle peggiori piaghe del nostro tempo, ovvero le attività illecite gestite dalle organizzazioni mafiose.

La storia dell'album, basata su un fatto di cronaca nera accaduto in Sicilia durante gli anni trenta, nasce da un'intervista fatta ad un detenuto dal giornalista Piero De Rossi il quale ha contribuito alla stesura dei testi che, per la loro profondità, e non esagero, andrebbero di diritto inseriti nelle antologie scolastiche di letteratura italiana, come è stato fatto in tempi recenti per le canzoni di Fabrizio De Andrè. In sintesi il disco parla di un ragazzo siciliano il quale, non volendo piegarsi alla mafia locale che impone alla popolazione di pagare per utilizzare l'acqua, riesce a trovare un pozzo e decide di renderlo disponibile a tutti gratuitamente. Per tale motivo, egli sarà ucciso in un agguato e successivamente vendicato dal padre. Ecco che si spiega il sottotitolo del disco, “poesia di un delitto”, perché i Giganti, da Artisti colti, hanno una grande ambizione: mettere in versi musicati, sia sciolti che in rima, un fatto di cronaca nera, qualcosa di forte che scuota la coscienza della massa.

E va detto che l'impresa gli è riuscita alla perfezione, a cominciare dell'eloquente copertina realizzata dal mai troppo rimpianto Gianni Sassi, il deus ex machina della Cramps, storica etichetta degli Area, mentre per la parte musicale, fatta di intrecci di gran livello dove tutti gli strumenti risaltano senza che nessuno sovrasti l'altro, hanno contribuito, oltre ai Giganti, musicisti di valore assoluto quali Vince Tempera, Ellade Bandini, Ares Tavolazzi e Marcello Della Casa, chitarrista dei Latte e Miele. È d'obbligo, infine, elogiare le doti canore dei Giganti, un gruppo che ha sempre avuto ben pochi rivali perché poteva contare sul talento di ben quattro voci soliste. Credo sia sbagliato, visto che l'album è composto da due lunghe suite, soffermarsi su un brano piuttosto che su un altro, tuttavia per il sottoscritto lo zenit emotivo si raggiunge durante il soliloquio del padre che piange il figlio ucciso (tracce 6 e 7), roba che mette la pelle d'oca regolarmente ad ogni ascolto. Mi preme invece sottolineare di più i testi, perché i Giganti hanno dato vita ad un'opera corale, un microcosmo senza tempo, valido in ogni epoca e luogo, un classico nell'accezione calviniana (la descrizione della promessa sposa che sviene al funerale del protagonista ucciso ha radici che potrebbero benissimo risalire ad Omero).

Purtroppo, più che la terra, a noi ascoltatori resta l'amaro in bocca nel sapere che quest'album sarebbe potuto essere il primo gradino di chissà quale stupenda evoluzione musicale, ed invece, dopo solo un singolo nel 1972, i Giganti decisero di sciogliersi, a causa dell'insuccesso clamoroso dell'album. Difatti, a tanta bravura artistica, purtroppo, non seguì il giusto quantitativo di vendite, in quanto “Terra in bocca” era, forse, un'opera troppo audace e troppo avanti per i suoi tempi, magari riproposta oggi sarebbe meglio compresa ed accolta, se solo pensiamo che in essa viene trattato un argomento di stretta attualità, vedi i referendum di pochi anni fa tesi ad impedire la privatizzazione dell'acqua.

Invero, uscirsene nel 1971 con un disco così elaborato, e soprattutto scomodo, ha costituito per i Giganti un atto di enorme coraggio, non solo verso l'industria discografica, ma anche verso la società benpensante. Ed infatti, quasi certamente per i testi espliciti, l'album fu pesantemente boicottato dalla censura (le cronache dell'epoca narrano che fu trasmesso appena una volta via radio). Oltretutto, non va trascurato che il pubblico dell'epoca, a temi socialmente impegnati, ha preferito rivolgersi a musica più leggera di contenuti, o magari si è rivolto alla musica straniera ignorando i gruppi italici da sempre tacciati di essere dei provinciali che scimmiottavano i maestri inglesi. Il risultato fu che il vinile originale, causa il basso numero di copie vendute, diventò uno degli album più rari e ricercati dai collezionisti.

Altresì va detto che esistono ben due differenti versioni in cd di quest'opera d'arte, entrambe edite dalla Vinyl Magic e purtroppo fuori catalogo da molti anni, tanto che le poche copie ancora rimaste circolano su internet ed alle fiere a prezzi onerosi (non meno di 50 € ed oltre). La prima versione, della durata di 44 minuti anziché 47, sembra essere un demo, diversa da quella definitiva in quanto priva dell'introduzione strumentale e con meno dialoghi parlati e qualche arrangiamento differente, tuttavia è molto rifinita e non sfigura affatto rispetto all'originale. Concludo dicendo che con quest'articolo spero di essere riuscito a rendere giustizia ad un'opera che da troppo tempo è criminosamente sprofondata nell'oblio Mi auguro che un giorno un impresario decida di resuscitarla e di diffonderla allestendo un musical, e magari qualcuno avrà anche la lungimiranza di portarla sul grande schermo.

Per “Tommy” tutto ciò è accaduto, ora è il turno di “Terra in bocca”.


Giacomo Di Martino: chitarre, voce
Francesco Marsella: tastiere, voce
Enrico Maria Papes: batteria, voce
Sergio Di Martino: basso, voce

Anno: 1971
Label: Ri Fi
Genere: Progressive Rock

Tracklist:
01. Largo iniziale - molto largo - avanti
02. Avanti tutto - brutto momento - plim plim
03. Plim plim al parossismo - delicato andante
04. Rumori - fine incombente
05. Fine lontana - allegro per niente
06. Tanto va la gatta al lardo - su e giù
07. Larghissimo - dentro tutto
08. Alba di note - rimbalzello triste
09. Rimbalzello compiacente - ossessivo ma non troppo – fine

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