La fine di una storia d’amore genera a volte capolavori musicali. La fine traumatica di un rapporto sentimentale portò Van Morrison a comporre “Veedon Fleece”, Todd Rundgren “Hermit Of Mink Hollow”, e Phil Collins il suo “Face Value”, tutti rispettivi capolavori dei tre musicisti. Dopo la dolorosa separazione dalla moglie Sara, nel 1975, Bob Dylan realizzò il suo album più personale, “Blood On The Tracks”, con canzoni che riflettevano il suo stato d'animo lacerato, alzando al tempo stesso uno sguardo più alto sulla condizione dell'amore: del resto è solo dei poeti saper elevare il proprio stato d'animo a racconto universale della condizione umana. In effetti, Dylan ha sempre smentito che si tratti di un’opera autobiografica, parlando piuttosto di brani ispirati ai racconti di Anton Cechov, ma è assolutamente chiaro che le due cose vanno insieme: possiamo parlare di una sorta di elaborazione del lutto operata attraverso l’ispirazione letteraria. Del resto, da una parte le dieci storie raccontate, tutte diverse ma tutte dolentissime, disperate, amare e malinconiche, sono indiscutibilmente parti letterari in cui lo stile narrativo piano, semplice è chiaramente cechoviano; dall’altra ad esser raccontato è il sentimento di perdita, di smarrimento, di solitudine vissuto dall’artista. I testi dei brani sono quindi più diretti, espliciti, lineari - in certi passi persino cronacistici - rispetto a quelli immaginifici dei suoi album più famosi. Anche lo stile musicale è apparentemente più dimesso: sin troppo almeno in origine, giacché al momento della pubblicazione Dylan ebbe un ripensamento e pretese di ri-registrare metà dei brani con un ensemble diverso, rendendo gli arrangiamenti più vari e dinamici. Country ballads, blues rock dolenti, canzoni intimiste, con qualche momento più animato, trascinante (“Lily Rosemary And The Jack Of Hearts”, in seguito ripresa anche da Francesco De Gregori) e duro (“Idiot Wind”), ma con una scrittura di altissimo livello lungo tutti i dieci brani del disco; melodie indimenticabili, interpretazioni dirette, sincere ed espressive, arrangiamenti lineari, semplici, tanto discreti quanto efficacissimi. Certamente non è l'album più seminale e influente di Dylan, e tuttavia è probabilmente il suo album più bello, intenso, sentito e commovente, e si tratta di un giudizio largamente, pressoché universalmente, condiviso: 52 minuti di grandissima musica, coinvolgente, affascinante, a cui andrebbe associata la lettura e la riflessione sui testi, alcuni dei quali davvero penetranti e incisivi come non mai; si prenda ad esempio “Simple Twist Of Fate”: “Lei era la mia anima gemella, ma l'anello l'ho perduto, ma incolpiamo solo lo scherzo del destino...”. Da questo punto di vista, consiglierei l'eccellente lavoro di traduzione fatto da Tito Schipa Jr. per Arcana. Dopo di che, è solo questione di gusti personali la scelta dei brani migliori, e - in tutta sincerità - io ad esempio non saprei davvero scegliere: dalla conclusiva, dolentissima e maliconica “Buckets Of Rain” (“La vita è triste, la vita è un macello, quel che puoi fare è quel che devi fare”), alla straziante e commovente “If You See Say Hello” ("Se la vedi, dille ciao; se l'avvicini, baciala per me: provo ammirazione per la sua fuga..."); dalla iniziale e programmatica “Tangled Up In Blue” (“Eravamo uguali nel sentire, solo con un diverso punto di vista, impigliati nella tristezza”), alla emozionante “Shelter From The Storm” (“entra, lei disse, ti darò riparo dalla tempesta”), una serie ininterrotta di capolavori, che compongono il più bell'album d'amore mai composto, e uno dei capolavori assoluti di sempre. |
Bob Dylan: voce, chitarra Tony Brown: basso Buddy Cage: steel guitar Paul Griffin: organo Eric Weissberg: banjo, chitarra
Anno: 1975
Tracklist: 1. Tangled Up In Blue 2. Simple Twist Of Fate 3. You’re A Big Girl Now 4. Idiot Wind 5. You’re Gonna Make Me Lonesome When You Go 6. Meet Me In The Morning 7. Lily, Rosemary And The Jack Of Hearts 8. If You See Her, Say Hello 9. Shelter From The Storm 10. Buckets Of Rain |