Dici “Dua Lipa” e subito pensi alla superstar mondiale, al fenomeno di costume, al glamour alquanto kitsch degli abbigliamenti, degli atteggiamenti e delle esibizioni. Tuttavia Dua Lipa è molto altro, e soprattutto è molto più delle apparenze superficiali.
Nata a Londra da genitori kosovari di etnia albanese, rifugiati in Inghilterra per fuggire alla guerra che insanguinava il loro paese, a 11 anni Dua segue la famiglia nel suo ritorno alla natia Pristina, capitale del Kosovo, per poi tornare quattro anni dopo a studiare a Londra. Il suo legame con la terra d’origine e la sua cultura è però fortissimo, e non manca mai di essere sottolineato e rivendicato in ogni occasione (nelle dichiarazioni e prese di posizione, nei suoi concerti…) tanto da arrivare ad esser tacciata di nazionalismo.A testimoniare il suo grande impegno per la valorizzazione e la diffusione della cultura del suo popolo, il presidente albanese Bajram Begaj nel 2022 le ha conferito la cittadinanza onoraria albanese “per il ruolo dell’artista nel diffondere la fama degli albanesi a livello internazionale attraverso la sua musica”.
Non si tratta di un riconoscimento ad una visibilità mondiale, o alla rivendicazione delle proprie origini; tutt’altro. Le composizioni di Dua Lipa sono certo brani pop, ma che utilizzano soluzioni melodiche, ritmiche ed armoniche della tradizione musicale della sua terra. L’uso della iso-polifonia albanese (una forma musicale arcaica, derivata dal canto liturgico bizantino, nel 2008 dichiarata dall’UNESCO Patrimonio Culturale dell’Umanità), del call and response secondo il canone balcanico, con la chiamata da parte del coro: sono idee originali, innovative in ambito pop; soluzioni che se da una parte danno un sapore particolare, quasi esotico ai brani (cosa che ne spiega almeno in parte il successo), dall’altra rivilitalizzano, attualizzano una tradizione, un sentire, in una parola una cultura ai margini della cultura mondiale.
Trattasi di canzonette, ma raffinate, che dimostrano una volta di più come il rock sappia assimilare e recuperare pressoché qualunque forma musicale. Perché il rock (e genericamente il pop) in sé non è un propriamente un genere musicale: esso consiste essenzialmente nella riduzione in 4/4 di qualunque altro genere musicale; il blues e il country agli inizi, e in seguito la musica classica (i 9/8 dei Genesis, ad esempio, o molte partiture degli Yes derivanti da Stravinskij), la musica indiana, il jazz (ad esempio, l’attacco di Great Gig in the Sky dei Pink Floyd è un accordo preso a Miles Davis, così come i ritmi in levare dei Supertramp e degli Steely Dan hanno genesi jazzistiche), alla musica operistica (dai Queen al Banco del Mutuo Soccorso), al gospel, alla poliritmia dei Talking Heads programmaticamente mutuata dall’afro rock di Fela Kuti, alla musica contemporanea, al folk di ogni latitudine (È festa della PFM è una tarantella, per dire), e chi più ne ha…
“Pop” del resto significa questo esattamente questo: semplificare, rendendo accessibili a tutti, opere, stili, conoscenze. Un modus operandi che definisce poetica e finalità di artisti quali Andy Warhol, Robert Rauschenberg, Roy Lichtenstein… Neanche tanto curiosamente, i primi due hanno avuto un ruolo, anche di una notevole importanza, nella storia del rock.
Analizziamo dunque alcuni brani di Dua Lipa per capire perché siano classificabili come musica etno-pop.
("Dimmi che sono albanese senza dire che sono albanese")
Il suo singolo di debutto, New Love è già un manifesto dei suoi intenti e del suo modo di utilizzare elementi e strutture etniche per fare pop.
L’intro è un bordone di voci sintetizzate a riprodurre l’iso-polifonia albanese. Il ritmo è dato da tamburi sul ritmo di una tallava, la caratteristica danza etnica kosovara tipicamente utilizzata nei matrimoni. A trasformarla dai canonici 6/8 nei 4/4 del pop, è un piccolo trucco: la frase si trasforma in due misure di 4/4 sincopato, inserendo due legature tra la seconda e la terza battuta e tra la sesta e la settima.
La melodia è costruita su una semplice ma velocissima scala ascendente di RE maggiore, secondo lo stile della musica balcanica; dopo il bridge pop, il colpo di genio è il refrain, giocato su un ondeggiante melisma balcanico, sostenuto da un coro iso-polifonico albanese.
E il gioco è fatto: il singolo ha subito successo, per l’orecchiabilità certo, ma soprattutto per l’originalità; è musica balcanica – kosovara, bulgara –, eterea, evocativa, ma è pop, perfettamente ballabile in discoteca. Da dove può provenire questa scrittura ad una giovane artista ventenne, se non dal suo background culturale, dal suo sentire? Come, e perché, decide di fare pop ballabile cantando secondo il modo della sua terra?
Un paio di mesi e un nuovo singolo, Be The One, fa il botto. Ancora il 6/8 di una tallava mutato in 4/4 con il trucco delle legature. La melodia è schiettamente pop, ma le radici etniche rispuntano nello special finale: una repentina scala discendente di una intera ottava, dal sapore magiaro, o anche klezmer, a insaporire in modo sorprendente il brano, che fa da traino all’album d’esordio, Dua Lipa.
Gran parte dei brani che lo compongono sono caratterizzati dal 4/4 sincopato, a cui si aggiungono di volta in volta altri elementi di musica albanese; IDGAF (il bridge a chiamata – del coro – e risposta della voce solista), Blow Your Mind, Garden, No Goodbyes (la linea melodica delle strofe che echeggia i canoni delle melodie albanesi), New Rules, Begging (dal raffinato ritmo in levare, con la scala discendente del refrain), Room For 2 (il bridge cadenzato). In Dreams, poi, sul ritmo sincopato si appoggia il bridge, un ostinato di semiminime in LA, cui fa seguito il refrain costruito sulla tipica struttura a chiamata e risposta albanese.
Dei suoi due primi album, è il primo a presentare le influenze etniche più marcate, che tuttavia sono evidenti anche nel secondo, Future Nostalgia; del resto l’artista ha sempre dichiarato di non amare ripetersi, di essere alla costante ricerca di nuove soluzioni, benché sempre nell’ambito del pop di consumo.
Anche in questo album, uno dei brani più popolari, Levitating, è un brano di musica etnica.
Dopo un intro di voci sintetizzate, ad imitare stavolta un canto monodico bizantino, parte il ritmo sincopato in 4/4, in levare, sul quale le prime due strofe disegnano la melodia: una semplice ma vertiginosa scala discendente, di SI minore.
La scala è formata da cinque quartine di seminime (FA# – MI – RE – DO# – SI), una duina di semiminime (SI – LA), chiusa da un’ultima seminima (SI) e una pausa a separare le strofe, una frase musicale di quattro quartine:
If / you / wan- / na // run / a- / way / with // me / I / know / a // ga / la/ xy / and // I / can / take / you // for / a / ride //.
In sé, una cosa semplice, ma provate a cantarla, rispettando metrica e intonazione…
La seconda strofa ripete la prima scala, quindi la terza strofa la rovescia in una ascendente meno frenetica (prima quartina di semiminime – SI – e una semiminima – RE; seconda quartina di semiminime – RE – e una semiminima – MI; terzina di semiminime – FA#; duina di semiminime FA# – LA, e a chiudere una semiminima – FA#).
L’effetto è un ottovolante di note, “levitante”, semplice nella scrittura ma trascinante e vorticoso come il folklore balcanico.
Etno-pop, appunto.
(grazie a Francesco Chiari e a Gianmarco Pressato e i White Leaf per la consulenza).