The Lexicon of Love resta una delle testimonianze più raffinate ed eleganti dei primi anni ’80; un disco che ha superato indenne la prova del tempo, acquisendo lo status di classico. Certo, resta una prova unica nella carriera degli ABC, per il resto costellata di prove mai all’altezza di brani quali "The look of love" o "Poison arrow", per non citare che i due grandi hit di quell’album.
È dunque una enorme sorpresa l’ascolto di questo vero e proprio sequel, non a caso intitolato The lexicon of love II. Certo, l’operazione a tutta prima può apparire più che sospetta, a partire dalla (elegantissima) copertina che sembra uno scarto di quella originale dell’82. Ma basta un ascolto dell’album per capire che si tratta invece di una prova splendidamente riuscita. Stesse identiche sonorità, stesso stile di scrittura e stesse sobrie ma sentite interpretazioni, quasi che una capsula del tempo ci abbia riconsegnato un disco inedito di un pop di gran classe, fatto di brani mainstream, quasi cinematografici, vestiti con arrangiamenti che riprendono con gusto e misura il Philly Sound del decennio precedente e che con la loro sapiente mistura di lieve ironia e sottile malinconia vanno molto al di là dello stile new romantic del tempo. A stupire è soprattutto la qualità delle canzoni: se nessuna è al livello dei due brani più celebri del predecessore, è anche vero che alcune vi si avvicinano parecchio e che comunque nessuna scende sotto una amplissima sufficienza, senza avere mai il sapore del puro filler. E il piacere cresce ascolto dopo ascolto: le iniziali "The flames of desire" e "Viva Love" col loro andamento vivace e brioso catturano immediatamente l’attenzione dell’ascoltatore, introducendo alle restanti nove tracce che non deludono o annoiano mai; dalla dolcemente malinconica "Ten Below Zero" al gustosissimo ed evocativo midtempo di "Kiss me goodbye", le canzoni rivelano come la classe sopraffina che ha reso celebre il disco d’esordio del gruppo non fu un caso, un episodio. E alla conclusione di "Viva Love reprise", la voglia di far ripartire il disco, o di mettere sul piatto l’originale dell’82, è inevitabile. Musica di qualità, ispirata, un pop ricercato, intelligente e mai banale, che non a caso ha fatto schizzare immediatamente l’album alla vetta delle classifiche inglesi di vendita. Musica per nostalgici degli anni belli della gioventù, indubbiamente, ma altrettanto indubbiamente un prodotto attualissimo capace di catturare schiere di ascoltatori più disparati. Un concept sulle difficoltà, sulle disillusioni dell’amore, dai testi maturi, ironici che esprimono riflessioni acute e penetranti. Oggi gli ABC sono la semplice signature del solo Martin Fry; trent’anni sono passati da The Lexicon of Love, ma The Lexicon of Love II conferma che la qualità non ha tempo, e vince sempre. Voto: 85/100 |
Martin Fry: Voce
01. The flames of desire
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