La Traviata messa in scena al Comunale sembra stravolgere le intenzioni del cupo dramma d'amore in tre atti ispirato a Verdi dall’opera di Dumas. In questa produzione, il tragico racconto si dipana attraverso una serie di scenografie essenziali: in apertura una casa d’asta che, nelle discutibili intenzioni del regista, dovrebbe simboleggiare la presunta mercificazione dell’amore da parte di Violetta. Un vasto appartamento parigino dove la giovane donna intrattiene i suoi ospiti, un rifugio di campagna, una bisca e, infine, la sterile stanza malata dove tutto ha termine. Ma non tutte le evocazioni di intenso amore e tristezza presenti nella musica di Verdi, che fanno di Traviata un capolavoro, sono state veicolate in modo efficace, soprattutto nei dialoghi più intimi e sussurrati. In fondo è un’opera semplice nella struttura, ma articolata e complessa nei suoi risvolti.
Tragica, perché racconta la storia di un grande amore che muore prima che abbia la possibilità di fiorire, dolorosa perché punteggiata continuamente dal rimpianto. Germont si rammarica di aver portato via Violetta da Alfredo, Alfredo si rammarica della sua rabbia nei confronti di Violetta, e Violetta, forse solo in parte, si rammarica per aver consentito che Alfredo se ne innamorasse.
Ogni personaggio prende decisioni avventate ed emotive e, quando matura la percezione dei propri errori, è sempre troppo tardi. Non c'è nulla di più tragico della sensazione di aver perso tempo prezioso e della incapacità di apportare modifiche alla propria esistenza. La vera natura del rimpianto è tragica. Germont (Simone Del Savio), il padre di Alfredo che convince Violetta a sacrificare la sua felicità, è abile e vocalmente puntuale, rubando spesso la scena, ma forse non offre nella sua compiutezza la totalità delle sfumature di questo personaggio ed il senso di trasformazione che è poi la chiave per la risoluzione dell'opera nel terzo e conclusivo atto.
Il tenore Francesco Castoro, pur preciso nella vocalità e nella dizione, non è apparso particolarmente convincente e costante nel ruolo di Alfredo, sembrava gestire tutti gli alti e bassi emotivi di questo personaggio con una presenza scenica non sempre adeguata. Bene il soprano Mariangela Sicilia, specie nel secondo e terzo atto; commovente il suo “Addio del Passato”, pur calata in una rappresentazione di Violetta Valéry non sempre fedele al libretto.
La Traviata si presta meglio ad una produzione classica. La reinvenzione è sempre possibile, e nella maggior parte dei casi, benvenuta; in questo caso non è sembrata valorizzare il tormento interiore dei personaggi e il succedersi degli eventi, ma ha anzi introdotto elementi visivi che sono parsi di disturbo.
Imperdonabile l’apertura del sipario con movimenti scenici sul preludio del primo atto: non solo per fedeltà alla tradizione, quanto al sacrosanto diritto all’ascolto più puro e all’immaginazione di ciò che accadrà, senza la paura del vuoto visivo.
Tornare a tenere chiuso il sipario potrebbe essere, più di uno schermo piatto che trasmette l’Uomo Tigre durante uno dei duetti più commoventi dell’opera, la vera rivoluzione.
di Francesco Maria Piave
Musica di Giuseppe Verdi
DIRETTORE, Renato Palumbo
REGIA Andrea Bernard
SCENE, ALBERTO BELTRAME
COSTUMI, ELENA BECCARO
LUCI, ADRIAN FAGO
MAESTRO DEL CORO, ALBERTO MALAZZI
MOVIMENTI COREOGRAFICI, MARTA NEGRINI
Interpreti:
VIOLETTA VALÉRY Mariangela Sicilia
ALFREDO GERMONT Francesco Castoro
BARONE DOUPHOL Paolo Marchini
MARCHESE D’OBIGNY Riccardo Fioratti
GASTONE Rosolino Claudio Cardile
IL DOTTOR GRANVIL Francesco Leone
GIORGIO GERMONT Simone Del Savio
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
Produzione del Teatro Comunale di Bologna