Viadana (MN), 13 Agosto 2011 - Arena Comunale
Nonostante si svolga in un piccolo centro situato tra Parma e Mantova, il festival Viadana Open Air è piuttosto agevole da raggiungere per via di una posizione logistica particolarmente fortunata per propria natura; ad ogni modo, alcune locandine poste sugli svincoli stradali ci agevolano ulteriormente nella ricerca. Giunti sul posto con un certo anticipo, troviamo opportuna una rapida visita turistica al paese che sonnecchia ordinato e silenzioso all’ombra dei suoi caratteristici portici. L’Arena comunale, luogo scelto per lo svolgimento del concerto, è fornita di un comodo parcheggio e di un prato limitrofo adibito al campeggio: piccola ma caratteristica, è costruita all’interno di un parco, i cui alberi proiettano ombra su alcuni posti a sedere che vengono ben presto occupati dai primi arrivati, anche se in quest’estate anomala il sole non picchia così forte come in altri anni; altri invece iniziano il tradizionale percorso in mezzo ai tipici stand di CD e magliette ed a quelli meno usuali di tatuaggi, arte e vestiti medievali.
Verso le 17, con un’ora di ritardo sul previsto, ad aprire sono i Krampus, vestiti da vichinghi e truccati in volto: senza dubbio un’apparizione ad effetto, accompagnata dal suono di una cornamusa. L’audio iniziale non è dei migliori, visto che si sente parecchio rimbombo, comunque emergono chiari almeno gli strumenti caratteristici come il flauto ed il violino. Tra i brani si fanno notare “My Siege”, la leggenda friulana “Tears of Stone” e “The Rocks of Verden” che descrive una battaglia degli antichi Sassoni; mentre l’audio migliora, si continua con “Beneath the Storm” e “Aftermath” che tratta del mondo odierno, distrutto e senza speranza. Il gruppo suona per mezz’ora sfruttando pezzi brevi in cui la violenza del death metal viene intelligentemente interrotta con intermezzi folk in voce pulita; è inevitabile richiamare alla memoria l’immagine dei Turisas, comunque, similitudini a parte, la band di Udine si dimostra valida ed interessante, tanto che il pubblico chiede invano un bis.
Seguono i romani Lahmia che ci propongono un death metal di buona fattura: elegantemente vestiti di nero, i musicisti travolgono l’auditorio utilizzando un’azzeccata alternanza vocale di scream e growl, ma anche repentine oscillazioni dal brutal death metal a passaggi più sperimentali, come ad esempio nell’apocalittica “Into the Abyss”. Un suono meno orecchiabile di quello del gruppo che li ha preceduti penalizza per forza di cose i Lahmia, che si trovano davanti una risposta meno numerosa e meno partecipata, comunque non si può assolutamente parlare di una prestazione in tono minore, visto che il suono è potente e diretto ed il gradimento degli spettatori viene evidenziato da un applauso sincero.
Mentre il sole comincia a nascondersi dietro gli alberi, il pubblico si fa più numeroso e tocca ai capitolini Airlines of Terror calcare il palco: ancora death metal, ma stavolta sono frequenti le incursioni nel grindcore. Tra i brani ricordiamo l’”allegro” (nei limiti di ciò che questo aggettivo può significare in ambito death metal) “Polizei Zombie”, il velocissimo “Spaghetti Western Death” e soprattutto un pezzo in italiano che non può non incuriosire: “Premiata Macelleria Cristiani”. Anche in questo caso la risposta dei presenti non ci sembra delle più calorose, ma ci pare evidente attribuire il tutto alla difficile digestione di un suono così pesante e non certo all’attitudine del gruppo.
Si giunge così alle 19.30, cioè al turno dei Dark Lunacy: la band di Parma gioca praticamente in casa e tale fattore sarebbe agevolante per chiunque, comunque in questo caso specifico l’attesa è a dir poco spasmodica. Interamente in nero e dotati di cravatta rossa, gli elegantissimi musicisti esaltano con il loro prog-death metal in perfetto equilibrio tra melodia, solismo ed aggressività; tra i pezzi spiccano l’atmosferico “Forgotten”, il trascinante “Through the Non-Time” e soprattutto il velocissimo “Motherland”, che a tratti si fa pomposo e ci accompagna ad una conclusione affidata al celebre “Dolls”, armonico splendore di atmosfera e potenza che conduce all’apoteosi finale. Un’eccellente esibizione sostenuta da un suono ottimale che porteremo a lungo nel bagaglio dei ricordi, come del resto faranno gli spettatori che applaudono a lungo i loro beniamini; si dice che la classe non è acqua, infatti quaranta minuti di emozioni e spettacolo ci sono sembrati riduttivi per un gruppo che meriterebbe molto più spazio, non tanto in questa sede, bensì sulla scena nazionale ed internazionale.
Il sole è ormai tramontato e l’aria comincia a rinfrescarsi quando appaiono sul palco gli Hour of Penance, altra formazione romana: per loro mezz’ora di devastazione pura, grazie ad un brutal death metal terremotante e spietato, senza spazio per compromessi, come evidenziato nel brano “Absence of Truth”. Non siamo mai stati tra i più grandi estimatori di un settore musicale che ci è sempre sembrato ripetitivo e monocorde, comunque il gruppo conosce bene il proprio mestiere ed annichilisce con brani taglienti e feroci il pubblico, che lo premia scatenando il pogo, seppure piuttosto circoscritto.
Giunge così il momento degli attesissimi Theatres Des Vampires; gli strumentisti si presentano con il volto coperto da maschere bianche, accompagnati da un’intro sinfonica e da un campionamento di carillon e voci malefiche tipico di molti film dell’orrore. Riconosciamo alcune canzoni come l’atmosferica “Keeper of Secrets” che ci mostra la cantante coperta da un velo nero e la successiva “Lilith Mater Inferorum”, durante la quale il velo cade e con esso ogni nostro dubbio in merito alla proposta musicale: non abbiamo mai seguito più di tanto la band romana, ma non possiamo che constatare che il loro gothic rock poggia parte del proprio successo sull’estetica della cantante, che si esibisce in movimenti sinuosi e lascia ben poco all’immaginazione. A scanso di malintesi, sappiamo benissimo che anche l’occhio vuole la sua parte e siamo i primi ad apprezzare tanta bellezza, ma a nostro avviso nel concerto troppo spazio è riservato all’immagine: un suono più rock che metal, dall’aggressività limitata per via dell’uso invasivo di effetti elettronici, cori e doppie voci, nonché la presenza di qualche strizzatina d’occhio al mercato tramite una certa orecchiabilità di evidente matrice anni ’80. Gli estremisti sonori, evidentemente non abituati, fanno volare anche qualche fischio: del resto non si può pretendere esito differente quando si conclude con un brano che con molta magnanimità potremmo definire “di stampo industrial”, ma che - mantenendo una visione obiettiva dei fatti - altro non è che musica da discoteca allo stato puro, tanto da far mettere le mani nei capelli non solo agli irriducibili di antica scuola come chi scrive, ma anche a ragazzi molto più giovani che in teoria dovrebbero essere forniti di vedute più aperte delle nostre. Punti di vista personali a parte, per circa un’ora abbiamo assistito ad uno spettacolo interessante, non solo legato all’avvenenza della cantante, che comunque è certamente il punto di forza per tamponare la limitatezza di un’estensione vocale imperniata su sospiri e singhiozzi, ma anche alla coreografia che nel gothic rock crea sempre un valore aggiunto: ad esempio, è certamente degno di nota il momento topico in cui un libro misterioso prende improvvisamente fuoco.
Ci stupisce un po’ il fatto che nessuno ci comunichi i motivi della defezione dei prog-deathsters tedeschi Obscura originariamente previsti in scaletta, ma non c’è tempo per rammaricarsi; con il passare dei minuti cresce la fibrillazione in attesa dei Dark Tranquillity, che salgono sul palco poco dopo le 23, accolti dal boato dei presenti ed accompagnati da un monitor posto alle loro spalle che intrattiene gli spettatori con immagini di varia natura, in prevalenza quelle di alienanti città metropolitane e di figure astratte. Come è noto, il suono degli svedesi poggia su una completa alternanza di violenza e melodia: è proprio quest’ultima ad introdurre il massacro di “The Fatalist”, seguito da “The Lesser Faith”, lievemente più leggera e dalla potentissima “Damage Done” in cui si mette in luce anche un discreto solismo. Le tastiere aprono l’atmosferica “Mysery’s Crown”, cui segue la fluida “Haven”; si continua con alcuni brani trascinanti, per certi versi anche drammatici (in mezzo ai quali viene ricavato anche un piccolo frangente per gli auguri di buon compleanno al chitarrista) e solcati da qualche accenno di solismo di tastiera e di chitarra. E’ evidente fin dall’inizio che il gruppo è in gran forma: il cantante loquace e soddisfatto dalla partecipazione del pubblico, gli altri strumentisti riservati, mai invadenti, ma professionali e lucidi nei loro interventi musicali. Le tastiere si pongono nuovamente in evidenza nel lento “Lethe”, notevole pezzo in crescendo, seguito dal veloce “Lost to Apathy” e soprattutto da “Therein”, esaltante e molto sentito dai più appassionati che partecipano con un coro da brividi. Si conclude con la martellante “The Final Resistance” e con la potente “Terminus (Where Death Is Most Alive)”, per certi versi ipnotica come la melodia finale che ci congeda senza alcun bis, nonostante le richieste degli spettatori, dopo quasi un’ora e mezza di autentico spettacolo all’insegna della tecnica e della violenza intrecciate insieme in un nodo di armonia ed eleganza.
Un pubblico particolarmente “raffinato” si congeda silenzioso nel buio del parco, come se fosse in cerca di una nuova “oscura tranquillità” lungo la strada del ritorno. Un festival senz’altro riuscitissimo per il quale ci complimentiamo con l’organizzazione, sia per aver dato spazio a gruppi appartenenti a settori differenti pur rimanendo in un ambito di matrice death metal, sia per la gestione del concerto in sé da ogni punto di vista. Lasciamo l’Arena con la speranza di uno sviluppo del Viadana Open Air in direzione di traguardi sempre maggiori, in modo che l’heavy metal italiano viaggi stabilmente verso obiettivi di respiro europeo.
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Data: 13/08/2011 Luogo: Viadana (MN) - Arena Comunale Genere: Metal
Sito web: Viadana Open Air
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