Roma, 24 Luglio 2015 - Luglio Suona Bene - Auditorium Parco della Musica, Cavea
Contravvenendo ai formali archetipi del jazz e ai rigidissimi cerimoniali della musica classica, Giovanni Allevi veste come un teenagers – dei quali, malcelatamente invidiato da molti, possiede anche il fisico efebico - e si manifesta al pubblico in termini di genuina spontaneità, comunicando verbalmente e gestualmente con modi così gentili ed armoniosi da farlo apparire contagioso. Osservandolo con attenzione, non posso fare a meno di pensare al genialoide Checco Zalone che, imitandolo alla perfezione, subisce a tal punto gli influssi positivi del pianista, da far emergere, durante la sua caricaturale esibizione, un lato garbato ed angelico che gli è del tutto estraneo giacché il comico è tutto fuorché garbato e angelico.
Raggiunto il palco correndo fragilmente e impugnato velocemente il microfono, il marchigiano descrive brevemente i singoli brani prima di ogni esecuzione, ispirando riflessioni, strappando sorrisi, catturando consensi. Così facendo – forse consapevole che un concerto per solo piano risulterebbe non pienamente fruibile, quantomeno agli occhi di un pubblico poco avvezzo ai citati circuiti classici e jazz (cioè, verosimilmente, almeno il 50% di esso) – egli persegue due scopi: tiene alta la curva dell'attenzione degli astanti, inducendoli alla partecipazione attiva, e consegna una cornice concettuale attorno ad una tela vergine, lasciando all'ascoltatore il compito di multicolorarla, vestirla ripetutamente, ammantarla di stralci emotivi, ricoprirla di sensazioni. Il processo dell'assimilazione dell'arte, che si concretizza, a mio modesto avviso, allorquando l'uditore la soggettivizza, è in questo modo pienamente sublimato. Il tema del trascendente, ad esempio, deferentemente affrontato più volte, viene acquisito dal pubblico con compassato rispetto: "Amor sacro", riferisce egli con enfasi espressiva, celebra “la sacralità delle cose, anzi, dell'intero creato” mentre "L'orologio degli dei" testimonia il passaggio dall'eternità alla vita terrena, “sancito dal primo battito cardiaco, di origine certamente divina, sia esso di natura animale o umana”.
Il valore dell'amicizia è esaltato da "Ti scrivo", brano dedicato a Don Mauro, amico di lunghe conversazioni di stampo filosofico che un incidente stradale strappò prematuramente alla vita, prima ancora che il giovane potesse manifestargli la sua stima: “l'ho fatto successivamente”, riferisce commosso, “nel linguaggio e me più congeniale, quello musicale”. Fa sorridere, anche e soprattutto, allorquando parla di perizia tecnica con un pizzico di intelligente ironia: a dispetto del titolo, per esempio, "Scherzo n.1" “non è affatto uno scherzo da suonare”; la durata de "Le sole notizie che ho", brano di appena due minuti, è inversamente proporzionale al periodo speso per comporlo, 4 lunghi anni durante i quali “ho persino dimenticato il significato che si cela dietro al titolo”; “Jazzmatic" è un “brano jazz non jazz, automatico e circolare, dove tutto è scritto e non c'è una sola nota improvvisata”; "The other side of me", infine, è eseguito alternando due differenti tecniche esecutive, “la musica antica e quella più moderna, come le due anime che convivono in me: quella seria, severa, e quella più giocherellona”. C'è poi l'omaggio sentito e affettuoso al Paese del Sol Levante, a cui il musicista appare evidentemente legato: basti dire, al riguardo, che il primo brano composto dall'artista, a soli 17 anni, si intitola proprio "Japan" puntualmente proposto sul palco; “Juzen” valorizza la pittura su tela di pura seta; "Asian eyes" esprime il disagio trasmesso dallo sguardo sofferente di una donna orientale, da egli visualizzata ricorrentemente, “che”, riflette l'artista ad alta voce, “forse ho fatto soffrire in una vita precedente”.
È un approccio sano, quello di Giovanni Allevi, che cristallizza il concetto di condivisione musicale: il metodo alla Keith Jarrett - citando un musicista cui, in astratto, tendo ad associarlo (si noti il differente uso delle parole “approccio” e “metodo”) - pare più legato alla necessità irrefrenabile di suonare compulsivamente la propria musica piuttosto che condividerla. Il jazzista, in sintesi, sembra voler soddisfare interiori esigenze il cui perseguimento, non soltanto limita la partecipazione collettiva della musica ma sacrifica anche il potenziale comunicativo della parola e annulla quello espressivo del corpo (giacché egli ha la criticabile abitudine di salire sul palco spesso omettendo di rivolgere sguardi e parole allo spettatore, dando l'impressione, se non di disprezzarlo, certamente di ignorarlo). Ne consegue che il messaggio musicale da egli lanciato, è pesantemente isolato, reso ormai algido e distaccato, irrimediabilmente castrato di espressività, parole e gesti. L'italiano, a differenza, comunica in maniera bivalente, con note e parole - trivalente, se consideriamo la irrituale ma assai apprezzata gestualità - dando vita, in termini assai concreti, ad un fedele e fruttuoso connubio tra forma e sostanza. Cosicché, alternando momenti ludici, ma sempre intelligenti ed interessanti, a riflessioni profonde, spesso afferenti, come sopra detto, a tematiche di stampo filosofico, trascendentale ed emotivo, egli spinge sempre alla meditazione intelligente.
C'è una doppia prova del nove in tutto questo suonare suo e scrivere mio e prende il nome dei miei figli, Alessio ed Emanuele, entrambi portati al concerto contro la loro volontà, su mia pressante e caparbia insistenza (peraltro beneficiando di un prezzo del biglietto veramente esiguo, voluto dallo stesso Allevi per i minori di anni sedici): sono ambedue giunti alla fine della esibizione non certo con la mia stessa interiore soddisfazione ma, comunque, pare doveroso sottolinearlo, con un numero contenutissimo di sbadigli e, con mia sorpresa, diversi entusiasmi emotivi, sia ascoltando le musiche avvincenti dell'artista, sia le sue curiose ma sensate descrizioni: alla fine del concerto, il grande, sensibile e genuino, ha giudicato la musica “un'esperienza piacevole” e il personaggio “molto simpatico”, mentre il piccolo, più sbarazzino e smaliziato, ha definito metà dei brani “noiosi”, ma l'altra “carina” mentre ha elevato il personaggio a figura “molto divertente”. Ritengo i commenti pienamente soddisfacenti se consideriamo che stiamo parlando di due bambini di 11 e 9 anni.
Dal canto mio, sono pienamente appagato, come giornalista, come fruitore di musica e come padre che stimola i figli ad apprezzare l'arte, spesso fallendo, talvolta, come in questo caso, conseguendo parziali traguardi. Ottimista come sono, aspetto con ansia il Köln Concert di Giovanni Allevi, fiducioso e sicuro che i miei figli, ormai più maturi e coscienziosi, potranno apprezzare un'opera che sarà certamente più ricca e comunicativa di quanto concretizzato dal criticato jazzista americano.
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Giovanni Allevi: pianoforte
Data: 25/07/2015 Luogo: Roma - Auditorium Parco della Musica Genere: Pop/Classica/Jazz
Setlist: 01. Il Nuotatore 02. Monolocale 7,30 a.m. 03. Ti scrivo 04. Japan 05. Juzen 06. Scherzo n.1 07. Come sei veramente 08. Le sole notizie che ho 09. Amor sacro 10. Asteroid 111561 11. L'orologio degli dei 12. The other side of me 13. Go me the flow 14. Tokyo Station 15. Il bacio 16. Secret love 17. Abbracciami 18. Back to life 19. Jazzmatic 20. Asian eyes 21. My family 22. Loving you 23. L'Albatros 24. Aria 25. Prendimi
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