Non è facile per il sottoscritto descrivere una giornata come quella di Sabato 19 Luglio a Porretta Terme, dove si è tenuta la 3° giornata del Porretta Soul Festival. Vuoi perché non sono sicuramente un esperto in materia di soul ed affini, vuoi perché mai mi era capitato di assistere ad una kermesse tutta dedicata alla musica dell’anima; ma in definitiva posso dire che questa per me è stata sicuramente una giornata "diversa": una piacevolissima giornata “diversa”.
Innanzitutto il clima: al contrario dei grandi festival rock\metal al quale spesso mi capita di assistere, il clima in Piazza Rufus Thomas è assolutamente dei più distesi e pacifici anche a pochi minuti dall’inizio della prima esibizione: la gente con assoluta calma si posiziona sui gradini della piazza e si siede a terra a pochi metri dal palco senza né correre né scalpitare (o peggio ancora, come spesso capita in queste situazioni senza sgomitare). L’atmosfera è distesa e serena anche tra gli addetti ai lavori nonostante l’ottima affluenza, considerato che obbiettivamente, Porretta Terme non è il centro del mondo, ma la cittadina emiliana si è presentata al meglio per questa serata, segno dell'ottima organizzazione di Graziano Uliani e dei suoi collaboratori, che anche per questa 21esima edizione hanno lavorato al meglio senza lasciare nulla al caso.
Sono quindi le 20 scarse, col sole che non si decide ancora a lasciar spazio alla notte quando si "aprono le danze", col primo momento importante che arriva poco più tardi delle 21.30 con la splendida e calorosa esibizione di Mable John, che nonostante le quasi 80 primavere passate ad osannare l’altro sesso nelle sue splendide ballate r’n’b, si è resa protagonista di un grande spettacolo accompagnata al piano da Austin DeLone e da una serie di coriste di colore preparatissime che hanno dato sicuramente un ulteriore valore alla performance di Mable ed in particolare al suo grande classico “Who Wouldn't Love a Man Like That ?".
Dopo la veloce parentesi di Charlie Wood che ha cantato l’inno della manifestazione dedicato nell’occasione alla memoria di Rufus Thomas (che aveva collaborato alla stesura del pezzo originale) è giunto finalmente il momento di Otis Redding III, probabilmente l'artista più atteso della serata. Otis inizia subito con la splendida “Hard To Handle” che fa emozionare tutti gli spettatori, per poi proseguire con “Knock On Wood” e con la acclamatissima “Sittin’ On The Dock Of My Bay”, che in chiusura ha regalato anche un pregevolissimo arrangiamento per chitarra.
Sempre sorridente nascosto dietro i suoi grandi occhiali da sole, Redding si dimostra buon esecutore delle opere del padre, senza snaturarle o renderle necessariamente moderne. Splendido anche fuori dal palco quando si è trattenuto con i fans e non ha lesinato foto ed autografi con loro.
Sono quasi le 23 ed arriva il momento di Joe “Bishop” Simon, che avvolto nella sua tonaca nera con risvolti rossi viene anticipato on stage da un coro di 32 elementi, tutti ragazzi presi dalla strada e che il reverendo di Chicago ha accolto con se evitandogli il pericolo di cadere nel giro della malavita nei ghetti della città dell'Illinois. Il suo show è durato poco più di un’ ora, nella quale il singer di colore ha proposto i suoi più grandi successi in chiave gospel (“sono qui per rappresentare Dio”, aveva annunciato il giorno prima in conferenza stampa), con grandi riscontri quando ha riproposto “Yours Love” e soprattutto “Power Of Love”, il pezzo che nel 1972 lo consacrò a grande star della musica black internazionale. Siparietto di splendida tenerezza quando a fine esibizione i ragazzi del coro nel backstage si sono abbracciati tra di loro facendo un fracasso che andava quasi a coprire la musica del pianista di New Orleand Henry Butler, impegnato in un set breve ma molto coinvolgente, che nonostante la cecità del musicista non ha impedito a quest’ultimo di premere con assoluta velocità e precisione i tasti dell’hammond, in un positivo e crescendo emozionale di grande valore.
La big band di supporto ha fatto il resto, sotto l’ennesima standing ovation. Chiude, dopo più di 4 ore dall’inizio un’altra voce storica del soul femminile: Sugar Pie Santo. Nonostante l’età non sia più dalla sua parte (classe 1935) dimostra ancora un grandissimo appeal e carisma, senza dimenticare una serie di gemme come “I Want To Know” e “Slip-In Mules”).
Chiosando, nonostante l’esperienza inedita, la soddisfazione nel vedere una dietro l’altra queste grandi icone della musica di colore americana (ma tutt’altro che attempate) è stata grande; quando siamo di fronte alla storia di un movimento poco celebrato nel nostro paese è impossibile restare indifferenti e passavi. Complimenti a tutti, non è facile rendere partecipe cosi tanta gente trattando un qualcosa che agli occhi dei più, spesso risulta superato e troppo legato a certi clichè (avete mai visto un’artista soul non sorridere sul palco ?). Complimenti a tutti ed un grazie particolare a Graziano Uliani per rendere possibile, in Italia, tutto ciò.
Bishop Joe Simon
Sugar Pie DeSanto
Henry Butler
Mable John
Austin DeLone R&B Band
Lannie McMillan & Friends feat. Charlie Wood
D’Avenue Boys Gospel Choir
Special Guest:
Otis Redding III
Data: 19/07/2008
Luogo: Porretta Terme - Rufus Thomas Park
Genere: Soul/Blues/R&B