Spiace enormemente dover parlare male di uno come Yngwie J. Malmsteen, ma la sua performance del 9 novembre scorso, all'Orion di Ciampino è, a modesto parere di chi scrive, totalmente bocciata.
Tralasciando considerazioni in ordine alla sua mai sopita voglia di protagonismo - che lo ha indotto, ad inizio concerto, sia ad obbligare il bassista Emilio Martinez ad arretrare di qualche metro al malcelato scopo di liberare l'intera front line del palco, sia a scocciarsi visibilmente, poco dopo, per la presenza di un panoramico al servizio della batteria, contro il quale si scontrava dolosamente, obbligando il lacchè di turno a spostarlo repentinamente - il concerto è stato caratterizzato da un audio a dir poco pessimo, penalizzato dai toni bassi gravemente sovrastanti. Quanto appena riferito è ascrivibile certamente allo stesso Malmsteen considerando che i fonici erano i suoi (mai percepito, chi scrive, un audio criticabile nel corso degli innumerevoli concerti visti al citato Orion che, anzi, gode di un impeccabile impianto tecnico). Non è finita, giacché Željko Marinović, più noto con il nome d'arte Nick Marino, era totalmente in ombra, sia come tastierista, sia come cantante, atto criminale, invero, considerando che, sul secondo versante, egli è in possesso di un'ugola ragguardevole. Una chitarra appesantita da un riverbero marcatissimo e una tracklist condita da cover del tutto superflue costituiscono imperdonabile duplice aggravante: passino le usuali rivisitazioni di brani classici a firma di Johann Sebastian Bach e Niccolò Paganini, personaggi che hanno marcato a fuoco il DNA dell'artista svedese, ma le cover di "Red House" di Jimi Hendrix, "Bohemian Rhapsody" dei Queen (giusto la closing section) e "Smoke on the Water" dei Deep Purple sono apparse a dir poco ridondanti. Condire il primo brano, un blues viscerale, con virtuosismi funambolici è operazione di cattivo gusto, mentre è aberrante vedere praticare onanismo selvaggio a danno del manico della chitarra stravolgendo assoli già perfetti alla nascita ad opera di Brain May e Ritchie Blackmore. Il brano dei Deep Purple, peraltro, era "sublimato" dalla voce dello stesso Malmsteen, sulla cui qualità meglio sorvolare, ed era totalmente castrato dell'assolo di tastiere, riducendosi, la sua esecuzione, ad un mero pretesto di stampo edonista a "beneficio" del solo chitarrista. Chi scrive ha visto lo svedese circa 20 anni fa, all'Alcatraz di Milano, e ricorda un artista impeccabile, pur spocchioso e algido; qui, invece, egli si è manifestato in termini oltremodo caldi e confidenziali, nei confronti del pubblico, ma gratuitamente vanitosi con picchi insopportabili di strabordante protagonismo. La presenza di grandi classici, fra i quali "Rising Force", "Trilogy", "You Don't Remember, I'll Never Forget" e "Black Star" - sulla cui qualità esecutiva, peraltro, possiamo dire ben poco, stante la citata qualità pessima dell'audio - non salva dal pollice verso il virtuoso delle sei corde, apparso molto più attento alla forma che alla sostanza. |
Yngwie Malmsteen – chitarra e voce |