Si giunge, con questa uscita discografica, al secondo disco inutile di una formazione inutile. Al riguardo, è appena il caso di richiamare i contenuti delle recensioni a nostra firma del precedente disco (QUI) e di due recenti date live (QUI), qui integralmente ripresi. In sintesi, e ancora una volta, la band è valida ma è tristemente piegata alle volontà di un chitarrista che ora appare un'ombra vacua e flebile di ciò che fu in passato. Anche in questo caso, Ritchie Blackmore cerca di mascherare una certa evidente incertezza nell'esecuzione, facendosi registrare a volume particolarmente basso come solista, quasi azzerato in qualità di chitarrista ritmico, volutamente offuscato da basso e tastiere omnipresenti. Per i completisti, si segnala che l'album in questione presenta una tracklist leggermente diversificata, orbata di "16th Century Greensleeves", qui sacrificata per lasciare il posto ad una versione di "Burn" che è impietosamente assoggettata allo stesso misero destino imposto, tra gli altri brani, a "Highway Star", "Spotlight Kid”, “Since You Been Gone” e “Man on the Silver Mountain”, cioè un eccessivo rallentamento per consentire all'ex virtuoso di tenere il passo. A questo punto è chiaro che non riteniamo opportuno dedicare altro tempo a questa modesta incarnazione dei Rainbow (anche sul nome della band avremmo da ridire, giacchè non si può parlare effettivamente di Rainbow, ma di un organico che persegue il solo scopo di presentare classici hard rock a firma di Blackmore), auspicando che la reunion dei Deep Purple agognata dal Man In Black (ne abbiamo parlato in un breve articolo che si trova QUI) non abbia mai a concretizzarsi, a lui preferendo un Grande e ancora in forma Steve Morse. |
Ritchie Blackmore: chitarra Anno: 2017 |