Ecco un disco veramente inutile. Cosa si può dire di più, rispetto a quanto già scrivemmo recensendo le due date dalle quali questo disco è stato estratto? (qui la nostra rece) Molto poco. L'incisione dimostra la validità di una band di professionisti, ancorché posta al servizio di un vecchio stanco, goffo, talvolta maldestro. Le doti del nuovo cantante sono fuori discussione, capacissimo, come è, di gestire con professionalità il repertorio di ben sei cantanti (Gillan, Coverdale, Hughes, Dio, Bonnet, Turner). La sezione ritmica appare più orientata alle soluzioni funkeggianti, anche se la cosa non guasta affatto. Il tastierista, infine, è certamente un dominatore, praticamente onnipresente, vero punto fermo di questo nuovo organico. Il vero punto debole di questa nuova incarnazione dei Rainbow, è proprio Blackmore, talmente modesto, nell'esecuzione, da essere costretto a farsi immortalare a volume particolarmente basso, nel suo ruolo di solista, e da scomparire letteralmente in quello di chitarrista ritmico, sostituito da un basso giganteggiante e da tastiere particolarmente distorte. La band rischia di apparire anche peggio di quello che realmente vale, essendo costretta a rallentare il ritmo di quasi tutti i brani (particolarmente in “Spotlight Kid”, “Since You Been Gone” e “Man on the Silver Mountain”), allo scopo di far tenere il passo a questa sorta di pseudo-fantasma di Blackmore. Non perdiamo altro tempo a parlare di minchiate: a stento ascoltato un volta, a stento consigliabile ai completisti. |
Ritchie Blackmore: chitarra Anno: 2016 |