Roma, 12 Luglio 2015 - Stadio Olimpico
Mai avrei pensato, un giorno, di recensire un concerto di Lorenzo Cherubini, avendolo profondamente disprezzato in gioventù, a causa dei miei gusti anacronistici e in totale antitesi con il personaggio: ai miei compagni che impazzivano per il Venditti di "Notte prima degli esami" e questionavano scioccamente sulla supremazia dei Duran Duran rispetto agli Spandau Ballet, o viceversa, io ostentavo orgogliosamente la mia passione per Beatles, Deep Purple, Yes e Crosby Stills Nash & Young, testimoni di un periodo storico che il superficiale edonismo estetico (e sonoro) degli anni '80 sembrava aver spazzato via, dopo che erano faticosamente sopravvissuti alle bordate aggressive del punk e agli attacchi irriverenti della disco-music. E così, brani come "Gimme Five", "Vai così", "La mia moto", "Vasco", "Ciao mamma", scivolavano via, velocemente e senza lasciare traccia alcuna, ascoltati soltanto de relato allorquando venivano trasmessi dalle radio nelle gelaterie o catturati casualmente nel corso di uno zapping annoiato, ostentati dai canali Mediaset.
Poi è uscito Lorenzo 1992 e qualcosa è cambiato. A livello di testi, il ragazzo sembrava cresciuto, più serio, credibile, addirittura profondo. Musicalmente, invece, una rivoluzione! La musica, stavolta, c'era: non era più costruita artificiosamente ma era suonata, eccome se era suonata. In tutta onestà, devo fare un nome di un musicista che prese parte a quell'album, per buona parte artefice di questo mio diverso approccio: Daniele Iacono, batterista degli Ezra Winston, esemplare gruppo di progressive italiano di cui egli faceva parte in quello stesso periodo. Non solo un virtuoso dello strumento (ad oggi ancora insuperato, a mio modesto avviso, tra tutti i batteristi che si sono avvicendati nella band di Lorenzo), ma anche il primo in assoluto al servizio di Jovanotti, quello scelto per passare dal campionamento alla percussione vera, dal suono artificiale di una cassa che pare di plastica, al tamburo che rimbomba senza artifici, dal rullante regredito a quello graffiante. E poi c'era "Estate 1992", che non parlava semplicemente dell'estate di quell'anno, ma documentava la Mia Estate, che io avevo capito sarebbe rimasta ineguagliata, perchè ero giovane e mi sentivo potente e vigoroso come mai prima.
Insomma, per dirla in breve, mi accostai a quell'album con uno spirito diverso, se non completamente animato da intenti riabilitativi, quantomeno scevro da qualsivoglia pregiudizio: quello che appariva come uno giovincello senza pretesa alcuna, cominciava a fare scelte che lo elevavano, e neanche poco, in termini di qualità sonora e impostazione comunicativa. Sempre in quel periodo, successe anche che io e Lorenzo Jovanotti ci ritrovammo brevemente vicini, entrambi astanti di un cocomeraro romano collocato sulla Circonvallazione Cornelia, nei pressi di Piazza Irnerio: in quel contesto, scoprii una ragazzo simpaticissimo, solare, coinvolgente, disponibile a rilasciare a me il suo autografo, destinato alla mia ragazza dell'epoca, purtroppo assente (o per mia fortuna, visto che impazziva letteralmente per lui).
Ci sono altri poi in questa storia: - poi è arrivato Lorenzo 1994 nel quale, se da un lato era assente il mio idolo Daniele Iacono (scelta scellerata, a mio avviso), dall'altro un prorompente Saturnino ebbe modo di far esplodere tutta la sua sicura baldanza esecutiva in "Penso Positivo", un brano talmente potente e aggressivo da essere apprezzato anche dal metallaro più oltranzista. Per non parlare di "Serenata Rap" e "Piove", pezzi che veicolavano messaggi non più così adolescenziali ma che, anzi, elevavano il rapper ad una figura più vicina alla compagine cantautorale. Ed infatti, a ben vedere, in quel periodo mi meravigliavo ad ascoltare le sue canzoni, alternandole a quelle di ben più blasonati personaggi, come Dalla, Concato, Daniele; - poi fu la volta de "L'ombelico del mondo", altro pezzone, di quelli maiuscoli; - poi c'è stato l'impegno sociale e politico: alcune posizioni non erano pienamente condivisibili da chi scrive (stante la natura di predatore dell'essere umano, la pace è affare utopistico quindi, per chi scrive, è giusto che l'uomo buono si armi per difendersi dall'uomo cattivo) ma quello che piaceva del tipo era la sua ferrea volontà di convogliare fermenti e disagi interiori in episodi di assoluta concreta fattibilità, come la campagna di sensibilizzazione alla cancellazione del debito o il sostegno, fra i tanti, ad Emergency, Amnesty International e Lega Anti Vivisezione; - poi arrivò l'esigenza di partire per mete lontane, alla ricerca di risposte ai quesiti di sempre, che sempre sarebbero rimasti irrisolti ma che avrebbero permesso la stesura di un libro come "Il Grande boh!", opera inaspettata quanto apprezzata; - poi, siccome la vita va avanti, giunse una rinnovata sensibilità artistica, quella di un padre che non si vergognava di manifestare il suo lato sensibile. A questo punto devo chiedere al lettore: è possibile definire Lorenzo in poche righe? Si! Jovanotti rappresenta per la musica ciò che Diego Abatantuono incarna nel cinema. Mi sembra un parallelismo efficacissimo. Esordiscono entrambi in termini incolori, scialbi, poveri di contenuti ma diventano poi figure ricche, veicoli di emozioni, personaggi di rilievo; nascono erbaccia, ambedue quasi infestanti, come la gramigna; crescono dopo, abbastanza repentinamente, trasformandosi in alberi multiramificati, colorati, fruttiferi. Questa lunga introduzione serve a chiarire il mio approccio al personaggio, non certo superficiale: se critiche ci saranno, in questa recensione, come ci saranno, il lettore - e Lorenzo, nel caso leggesse e gliene fregasse qualcosa - sappiano che la mia sarà una profusione sensata, costruttiva, mai fine a se stessa.
Orbene, la mia presenza al concerto di Jovanotti nasce per caso, generata dal desiderio di accontentare moglie e almeno uno dei miei due figli. Chiedo un accredito direttamente al sito ufficiale del cantante, www.soleluna.com, ma vengo bellamente ignorato, nonostante precisi di essere regolarmente iscritto all'ordine dei giornalisti. "Poco male", mi dico, "ci andrò da privato fruitore di musica, così non mi toccherà neanche recensire il concerto".
Le cose andranno diversamente. L'ingresso allo Stadio verso le ore 8:00 è di quelli che lasciano il segno: un palco enorme, con uno schermo mai visto, un gigante di tecnologia che guarda verso il basso, alla volta di migliaia di persone, piccole e movimentate come formiche laboriose. Gremito, pulsante, vivace, l'Olimpico così descritto mette soggezione: "una vista migliore del Gianicolo", dirà poco dopo lo stesso Jovanotti, rubandomi le parole di bocca.
Il citato palco presenta curiose diramazioni filiformi a forma di saetta, che si fanno largo faticosamente in quell'oceano puntiforme di persone, fino quasi ad arrivare alla tribuna prospiciente e allargarsi a destra e a sinistra verso le curve nord e sud. Io all'Olimpico ho visto i Rolling Stones, Renato Zero, i Maiden con i Motorhead e Machine Head e il loro palco, pure gigantesco, era ben poca cosa rispetto a quello che si innalza e che si sviluppa davanti ai miei occhi.
Sono abbastanza incredulo: non pensavo minimamente che un Jovanotti potesse arrivare a tanto, come o meglio di Ligabue e Vasco. Mentre attendo l'inizio del concerto, navigo un po' nella rete e scopro che non è la prima volta che questo succede: sono evidentemente poco aggiornato. L'inizio è meraviglioso, con "Penso positivo" sparata all'ennesima potenza, sfruttando al massimo il suo coinvolgente potenziale ritmico: la gente, almeno due generazioni (la mia, coetanea dell'artista, e tantissimi giovani con 20 anni in meno), urla e urla e urla ancora mentre Lorenzo danza, canta, si muove, ride, si eccita ed eccita il pubblico.
L'audio è purtroppo carente e lo sarà ancora per i primi tre pezzi: in Tribuna Monte Mario, dove sono collocato, la voce dell'artista si perde nel frastuono di un impatto sonoro che è assordante e poco definito, con strumenti musicali come il basso, le chitarre e i fiati ampiamente sommersi da suoni smodatamente artificiali. Mi aspettavo una cosa diversa, lo ammetto: dov'è quel lato cantautorale che tanto mi fece apprezzare il personaggio vent'anni fa?Ma la scelta di Lorenzo, ormai chiara, è quella di creare un mega rave all'aperto, una gigantesca discoteca di proporzioni smisurate, un bombardamento di suoni che sommergono esageratamente la pur presente qualità sonora dei brani e l'ottimo livello tecnico dei musicisti coinvolti.
Del resto, il look attuale dell'artista (che, nella copertina del suo ultimo album, si veste con camicia variopinta parzialmente ricoperta con parti di una tuta da motociclista), che rimane per me del tutto incomprensibile (si converrà che il look appare oltremodo antitetico rispetto al trend intimista delle produzioni passate), doveva farmi ipotizzare un simile scenario danzereccio. Il concerto continua così per almeno un'ora, con l'attenuante della qualità audio, che nei brani successivi fa percepire distintamente la voce del Nostro, e l'aggravante dello schermo gigante ove, purtroppo, non vengono proiettati i musicisti all'azione (fatta eccezione per il protagonista, ovviamente), ma immagini minimaliste e poco elaborate di stampo futuristico e adolescenziale, molto compatibili con il concetto che sta alla base del citato rave.
La folla sembra gradire, io comincio ad annoiarmi, arrivando ad indignarmi allorquando alcuni arrangiamenti vengono pesantemente rivisti: "Non m'annoio", ad esempio, viene proposta in termini fin troppo sincopati e sembra non partire mai, costituendo uno dei rari momenti nel quale al pubblico viene di fatto impedito di ballare come vorrebbe e dovrebbe. Fortunatamente "L'ombellico del mondo" è straordinariamente fedele all'originale, qui sublimata dalla presenza di un percussionista di rara capacità ritmica.
Finalmente si respira: gli arrangiamenti ipnotici voluti caparbiamente dall'artista lasciano il posto a sonorità più vicine alla figura che io ho ho già avuto modo di apprezzare negli anni '90: dopo il binomio infelice costituito da "L’estate addosso" e "Estate" (i due brani trattano più o meno lo stesso tema e il simpatico concetto che vede la stagione come “la più bella invenzione italiana” è collocato tra i due brani e non all'inizio del primo), si apre il capitolo più intimista del concerto, verosimilmente messo in piedi con la consapevolezza che non si possono incentrare due ore di musica sui ritmi incessanti costruiti da una consolle per disk jockey.
Brani intimisti come, tra gli altri, "Serenata rap", "Come musica", "Tutto l’amore che ho" preludono ad un bis il cui primo pezzo, "A Te", sublima il lato più sensibile dell'artista e, almeno per chi scrive, quello maggiormente apprezzato. Anche dal vivo, la successiva "Gli immortali" conferma il mio minor gradimento (bellissima la melodia ma il titolo e la sua ostentata ripresa nel ritornello non chiarisce bene, a mio modesto avviso, il concetto di normalità che l'artista aveva originariamente intenzione di trasmettere), nonostante il coro pressoché unanime dell'intero stadio. Il brano, comunque, getta i prodromi per un discorso di inusitata consistenza nel corso del quale Lorenzo invita tutti ad usare i “superpoteri” di cui ognuno è in possesso: l'amore, è il primo di essi, seguito dalla passione, dalla curiosità, dalla fantasia, dalla diversità e dal desiderio.
Le neo-acquisite ambientazioni danzerecce di "Ti porto via con me" che, secondo copione, deve fornire al pubblico l'ultima scarica di adrenalina ma che, ahimè spezzano l'incanto di parole profonde (per le quali è stato utile portare i miei figli al concerto, molto più fruttuose di mille note musicali, di mille danze, di mille cori collettivi), chiudono il mio - mai preventivato - primo concerto di Lorenzo Jova Cherubini lasciandomi deluso e appagato al tempo stesso. Lascio l'arena pochi minuti prima delle chiusura per schivare i perversi incastri tumultuosi di fine esibizione ed evitare di far perdere sonno ai miei figli, visibilmente stanchi: mentre mi allontano assieme a pochi altri previdenti - pensando a quanto è stato strano collocare questo concerto a distanza di una settimana dall'ultimo appena visto (i Toto) e il successivo, che vedrò fra pochi giorni (i Queensryche) - mi concentro sulle musiche ancora perfettamente percepibili, nonostante il rapido passo che mi mette in fuga dal caos: è una mia impressione o già mi mancano i ritmi danzerecci, quantunque invadenti, del nuovo Jovanotti? No, non mi mancheranno, ma sono contento dell'esperienza, anche se lontana dalle mie corde di fruitore di rock, prog, jazz e blues.
Sono contento perché è simpatico, Lorenzo, con il suo fare solare, genuino, affabile.
E, di conseguenza, inaspettatamente, maturo l'idea di recensirlo, questo strano concerto non programmato, sebbene castrato dell'accredito stampa, se non altro per documentare non tanto l'esibizione in sé, quanto il mio personale accostamento ad un genere da me poco fruito ed il mio approccio nei confronti di un artista prima fortemente inviso, poi apprezzato, poi dimenticato, poi riscoperto, sebbene con alcune riserve.
Gianluca Livi
PS: la prossima volta - chiunque tu sia, dietro all'indirizzo www.soleluna.com - non mi ignorare, per cortesia: rispondi, ancorché negativamente, alla richiesta di un accredito esternata in termini assolutamente cordiali e propositivi. È questione di buona creanza. Grazie.
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Lorenzo "Jovanotti" Cherubini: vocals Saturnino: basso elettrico Riccardo Onori: chitarra elettrica, chitarra acustica Danny Bronzini: chitarra elettrica, chitarra acustica Franco Santarnecchi: pianoforte, tastiere Christian Rigano: tastiere, sintetizzatori, sequencer Gareth Brown: batteria Leonardo Di Angilla: percussioni, batteria Federico Pierantoni: trombone Mattia Dalla Pozza: saxofono Antonello Del Sordo: tromba Glauco Benedetti: tuba
Data: 12/07/2015 Luogo: Roma - Stadio Olimpico Genere: Pop, Rock, Cantautorato
Setlist: Penso positivo Tutto acceso Attaccami la spina L’Alba Una scintilla Sabato video Il più grande spettacolo dopo il big bang Bella Stella cometa Ora Fango Il mondo è tuo Non mi annoio/ Falla girare/ La scienza bellezza/Tanto L’ombelico del mondo Musica L’estate addosso Estate Le tasche piene di sassi L’Astronauta Serenata rap Come musica Tutto l’amore che ho La notte dei desideri Tensione evolutiva Mezzogiorno Ragazzo fortunato
Bis A te Gli immortali Ti porto via con me
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