(foto di Marcello Nitti) Roma, 17 Aprile 2008 - Stazione Birra Daevid Allen, Hugh Hopper, Chris Cutler Guest: Solar Orchestra Stazione Birra, Roma, 17 aprile 2008 Articolo apparso sul n. 36, anno 2008, di “Musikbox - Rivista di cultura musicale e guida ragionata al collezionismo”, qui pubblicato per gentile concessione dell'autore. Il progetto Brainville è nato più di dieci anni fa per volere di Daevid Allen (personaggio che, per i profani, diede vita a Soft Machine e Gong, due tra le band più creative del sottobosco psichedelico e space-rock anglosassone di fine anni ‘60), e Mark Kramer, polistrumentista statunitense anch’egli dedito a sperimentazioni fantasiose e allucinate. Completavano la formazione Hugh Hopper, ex bassista dei Soft Machine, e Pip Pyle, indimenticato batterista di Hatfield & The North e National Health. Dopo due uscite discografiche (“The Children’s Crusade” del 1999 e “Live In The Uk” del 2003), in cui emergevano elementi di psichedelia fortemente jazzata, Kramer ha abbandonato il progetto e Chris Cutler batterista di avanguardistica propensione (già con gli Henry Cow agli inizi dei settanta), ha sostituito il compianto Pyle. Nonostante le ottime premesse, lo scorso 17 aprile questo trio non è riuscito a stupire, arrivando addirittura ad annoiare un pubblico che non ha palesato atteggiamenti di insofferenza soltanto per non turbare l’aplomb compassato, eppure fortemente magnetico, di un personaggio mitico come Hopper, o forse, più semplicemente, in segno di rispetto per un Allen ancora candidamente pervaso di teatrale filosofia cosmica. Cosa è successo? Il pubblico, pure accorso in numero consistente, è rimasto semplicemente basito per la criticabile scelta di proporre poco più di 50 minuti di musica, per il buco sonoro determinato dall’assenza di una tastiera (una vera e propria bestemmia per un gruppo che spazia con disinvoltura dalla psichedelica-jazz allo space-rock), per i pochissimi stralci di jazz, per la criticabile rivisitazione dei brani in chiave avanguardistica. Più che di libera improvvisazione, la prima parte del concerto aveva il sapore del pugno allo stomaco: non hanno proprio convinto i loop sintetici di Cutler, il basso martellante di Hopper e il ripetitivo dadaismo verbale di Allen, ancorché recitato tra piroette e sorrisi. Le sorti si sono appena sollevate nella seconda parte, con (alcuni) brani storici di Gong e Soft Machine, rivisti e corretti secondo la nuova filosofia musicale del trio. Ma la pregevole e appassionata versione di Happiness dei Soft Machine, non è bastata a colmare l’assenza della leggendaria Sea Song di Robert Wyatt, suonata inspiegabilmente soltanto nel soundcheck (circostanza, questa, riferita dal direttore artistico del locale ad inizio concerto, creando, così, false aspettative). Insomma, alla fine il pubblico è rimasto catalizzato più dall’atteggiamento anticonformista e dall’uniforme da vero freak ostentati da Allen (capelli fluenti e bianchi, fascia in testa, abiti dai colori sgargianti e poco compatibili), che non dal contesto prettamente musicale. Rischiamo di essere impopolari, ma a questo blasonato trio abbiamo preferito di gran lunga il gruppo spalla, i Solar Orchestra, un ensemble romano di 7 elementi (tra cui un violoncellista e un trombettista), prossimi alla seconda prova discografica, autori di una musica a metà tra contesti floydiani e atmosfere oscure degli Anekdoten. (Gianluca Livi)
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Daevid Allen: Voce e chitarra Data: 17/04/2008
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