Dopo essere rimasto piacevolmente folgorato dall'opera prima del cantante e sperimentatore italiano Boris Savoldelli: Insanology (2008), il chitarrista e polistrumentista Elliott Sharp figura di punta dell'avanguardia musicale decide di invitarlo per un duetto nel bunker di John Zorn. Parliamo della celebre sala newyorkese The Stone.
Questo nuovo album, intitolato Protoplasmic, è costituito interamente da materiale improvvisato e privo di ricorso a sovraincisioni ma al suo interno non lascia mai nulla al caso grazie soprattutto alla sapiente oculatezza delle scelte stilistiche. La strumentazione adottata è abbastanza insolita, l'intento è soprattutto rivolto alla ricerca di soluzioni sonore in qualche maniera inedite. L'interpretazione deliberatamente improvvisata contribuisce allora a rafforzare la costruzione organica dell'opera; in tal senso è emblematica l'attenzione notevole rivolta alle sfumature e le tracce risultano così estremamente eterogenee da mantenere sempre elevata l'attenzione dell'ascoltatore nel corso delle dieci tappe che ne costituiscono il complesso percorso. Si svela una sorta di crogiuolo nel quale free jazz e musica elettroacustica si fondono senza difficoltà mantenendo però sempre integro il contatto con la spontaneità e la capacità di modellare il suono in maniera seducente. In tal senso è illuminante l'abilità di Boris Savoldelli nell'arricchire con l'effettistica la sua qualità canora modulando la sua voce come un vero e proprio strumento. Appare inevitabile (ma non banale) allora il richiamo all'approccio estremo di Demetrio Stratos. E' quanto accade poi in Noises in My Head, in cui l'estensione vocale è vertiginosa e ricca di gamme e si nutre della ricchezza degli apporti di chitarra, sassofono ed elettronica di Elliott Sharp consentendo al pezzo di guadagnare una struttura piena di intensità e dalla forme continuamente mutevoli. Tuttavia, ciò che colpisce profondamente in questo interessante lavoro è la consistente omogeneità dell'assieme nonostante la centralità del ruolo affidata costantemente alla improvvisazione. Ne deriva che il binomio riesca nel non semplice compito di risultare molto più attraente di innumerevoli esperimenti elettroacustici musicali capaci di preservare la loro suggestività solo sulla carta e meno alla prova del fuoco dell'ascolto. I brani apparentemente più ermetici e spigolosi quali Reflective Mind sono sorprendenti perchè capaci di colpire l'ascoltatore portando nell'incisione la immediatezza e il senso 'diretto' della improvvisazione. Taluni, è vero, forse potranno trarre maggiore interesse per le sezioni del disco meno 'pregne' ma è enorme l'impressione provocata da una traccia quale Nostalghia con le sue parti vocali che si diradano letteralmente nell'aria testimoniando la consistenza del respiro d'assieme di Protoplasmic. 80/100
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Boris Savoldelli: Voce, elettronica Anno: 2009 |