Orbene, parlando di cifre, quello appena realizzato è il venticinquesimo album della carriera dell’artista, talché, in precedenza, se ne contano venti realizzati insieme alle Orme e cinque da solista.
Ascoltare questo album pensando ad un disco de Le Orme sarebbe un errore madornale. Chi si aspetta le fosche difformità di “Felona e Sorona”, le disarmonie di “Contrappunti”, le ruvide asperità di “Maggio”, le robuste consistenze di “Vedi Amsterdam”, rischia una clamorosa frustrazione. Tutto l’album, infatti, è caratterizzato da una veste ambivalente che, in un immaginario conflitto dualistico, vede la contrapposizione tra atmosfere squisitamente solari, positive, ottimiste, ed episodi senz’altro più intimi, talvolta malinconici.
L’artista veneto si pregia di percorrere strade assai eterogenee: cosicché, mentre nel refrain portante della energica “C'è una vita” sembra omaggiare l’irruenza di “Sguardo verso il cielo”, nell’intima “Sette passi”, si palesa in termini chiaramente branduardiani, tanto nelle liriche, profonde e spirituali, quanto nella musica, splendidamente ancorata all’archetipo della ballata semi-acustica di stampo medievale. “Dio lo sa”, invece, assume toni briosi e vitali, mentre “Il santo” e “La cosa più bella” navigano in acque più squisitamente pop, molto vicini alle cose meno artificiose delle Orme più approcciabili.
A questo punto il lettore dovrebbe aver capito che questo non è un disco di progressive. Tuttavia, giacché il cantante, in qualità di ex-membro de Le Orme, è annoverato tra i più genuini rappresentanti di tale genere musicale - che egli, coraggiosamente, non ha inteso rinnegare, né tantomeno sfruttare biecamente - stralci di tale genere affiorano più e più volte, seppur in termini di mera citazione. Il sapore solenne della magniloquenza degli Yes, ad esempio, caratterizza gli sviluppi solari in calce a “Silenzi”, mentre il magnetismo seducente dei Pink Floyd più ipnotici, pervade la propaggine conclusiva di “Tra il bene e il male”. Il secondo gruppo è appena citato anche nell’incipit iniziale de “Nella pietra e nel vento”, il cui incedere modulato appare vicino a certe espressioni cadenzate dei tardi ’70, segnatamente del periodo The Wall. Queste influenze – come detto, sempre accennate, (volutamente) mai sviluppate in toto – svaniscono repentinamente allorquando subentra la voce tersa del cantante, inconfondibile marchio di fabbrica capace di richiamare il copyright espressivo de Le Orme più melodiche.
Una menzione particolare, infine, la merita il brano “Il sutra del cuore”: caratterizzato nella sua parte strumentale da un complesso intreccio di chitarre acustiche e tastiere, il pezzo ricorda i gradevoli e rilassanti camei non prog, mirabilmente proposti da gruppi prog, come “Entangled”, ad esempio, brano struggente, sognante, malinconico, perla mai reiterata con la quale i Genesis si palesarono in maniera intimistica ed eterea. Gli intenti sonori di cui sopra sono sublimati tanto da una copertina eccelsa, quanto da una band credibile e competente: la prima, che porta la firma di Paul Whitehead, è dedicata proprio allo stesso Aldo Tagliapietra, a cui l’inglese è legato da sincera amicizia; la formazione comprende musicisti eccezionali tra i quali vale la pena citare (non me ne vogliano gli altri), il tastierista Andrea De Nardi e il chitarrista Matteo Ballarin, ovvero il nucleo portante dei “The Former Life” band di cui abbiamo avuto modo di parlare in termini esaltanti, recensendo su queste stesse pagine web lo splendido album omonimo dello scorso anno.
82/100
Aldo Tagliapietra: Voce, basso, bass pedal
Aligi Pasqualetto: Tastiere, piano digitale e Minimoog
Andrea De Nardi: Organo Hammond
Matteo Ballarin: Chitarre
Manuel Smaniotto: Batteria
Anno: 2012
Label: Clamore/Thring
Genere: Progressive Rock
Tracklist:
01. Nella pietra e nel vento
02. Silenzi
03. Il santo
04. La cosa più bella
05. Un grande giardino
06. Sette passi
07. C'è una vita
08. Tra il bene e il male
09. Dio lo sa
10. Il sutra del cuore