Sulla scena dal lontano 1992, i trevigiani Sentenza, dopo essersi lasciati alle spalle vari cambi di formazione ed addirittura uno scioglimento, giungono finalmente al loro primo album.
La copertina, efficacemente cupa, raffigura i musicisti come delle ombre poste davanti ad un cielo indirizzato verso l'oscurità; il libretto, che contiene alcune foto dei componenti, è molto curato, per via della grafica chiara e leggibile con cui sono scritti i testi, che trattano prevalentemente problemi sociali o esperienze personali del gruppo. Il CD, omonimo, dura meno di quaranta minuti ed è aperto dall'aggressività, a tratti anche melodica, di “Follow Me”, legata al concetto che è possibile un'altra realtà, ben diversa da quella che ci circonda. Dopo “Prisoner Mind”, una battaglia contro le droghe, dal ritmo meno diretto, si torna alla velocità con “Human Brutality”, che sfrutta anche una doppia voce in scream per raccontare l'attualità e la naturale disillusione che essa provoca in chi possiede ancora la capacità di disgustarsi; ritroviamo le stesse tematiche nella cadenzata “Messenger”, mentre la compatta “Black Woman”, dal tono dark in avvio, in seguito riprende il motivo iniziale, dando luogo ad un finale nel segno della dolcezza. Alla martellante “Escape from My Mind”, che si fa ricordare per un assolo iperveloce, segue l'autobiografica “Six Years”, che poggia su svariati cambi di ritmo e riguarda i sei anni trascorsi tra lo scioglimento dei Sentenza ed il loro ritorno alla musica; si continua con la cadenzata “Inorganic Death” e con la veloce ed ariosa “Slaves”, dotata di alcune armonie di matrice thrash, seguite dalla massiccia “Carnage of God” che chiude degnamente l'album. Il death metal proposto è senz'altro di stampo tradizionale, visto che è fortemente influenzato dai vecchi Sepultura, per maggiore precisione quelli del periodo antecedente alla pubblicazione di “Roots”: tra i ringraziamenti di rito presenti nel libretto, infatti, spicca quello rivolto ai brasiliani, dei quali figura addirittura la data di morte, risalente, guarda caso, al 1996, anno di uscita di un disco che fece molto discutere - ed a volte anche litigare - i metallari ortodossi e quelli ipermoderni. Senza entrare troppo nel merito, visto che non è questa la sede adatta, ma tornando, piuttosto, ai Sentenza, un ritorno alle origini del death metal non può che far piacere, visto che i brani scorrono senza annoiare; allo stesso tempo, però, è anche vero che i modernisti di cui sopra potrebbero avere molto da ridire in merito ad un suono che, per forza di cose, non si può definire innovativo. Senza prendere le parti dell'accusa o della difesa, ma valutando entrambe le prospettive, consigliamo l'album a tutti gli amanti del death metal, tradizionale o moderno che sia, ed in generale a chi, deluso dai nuovi Sepultura, voglia ritrovare le sensazioni provate all'ascolto di “Arise”, scaturite da coordinate musicali ben definite, dalle quali i creatori sono ormai abbastanza distanti. 70/100
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Igor: Voce Anno: 2008 |