I fiorentini Dario Lastrucci e Andrea Dell’Olio sono gli autori di trama, testi e musica di Opus I – Dona Eis Requiem, esordio dei Sextum Sepulcrum.
Siamo di fronte ad un concept album, a sua volta facente parte di un progetto di più ampio respiro, chiamato “Requiem”, che comprende altri due lavori: i due fondatori del gruppo stanno già preparando il successivo Opus II – Umbra Noctis, mentre il terzo, per ora, possiede solo il titolo, cioè Opus III – Tenebrae Et Lux. Naturalmente, un’opera tanto ambiziosa merita un’ampia descrizione. Partiamo dalla copertina, che raffigura un arco immerso nell’oscurità e nel mistero: presumibilmente è l’ingresso al sepolcro che fornisce il nome alla band. Prima di oltrepassare l’arco ed addentrarci nel mistero ci troviamo davanti due serpenti, posizionati in modo tale da formare la “S” presente nel logo del gruppo: i rettili, con la coda infilzata, si accingono a mordere una mela trafitta dalla stessa punta. L’elegantissimo libretto nero è altrettanto curato e contiene una dettagliata descrizione dei tre protagonisti del disco e della trama delle canzoni, oltre ai testi, piuttosto lunghi e complessi. La storia, ambientata a Norimberga, ed è suddivisa in sei capitoli, il primo dei quali si apre con “Intro - Birth”, dove ci vengono presentati i tre personaggi. Si inizia con Joan, che, essendo rimasta orfana in tenera età, è una donna fragile e solitaria, dilaniata dall’insicurezza, dalla paura del mondo e dei contatti sociali, la cui unica certezza è la religione, i cui precetti segue con cieca obbedienza. All’età di trentatré anni, poco prima di partorire, Joan viene abbandonata da un marito troppo immaturo per sopportare il carico di un figlio, così chiede a Kaspar Lancaster, prete quarantenne e suo pastore spirituale, nonché l’unica persona di cui si fidi, di fare da figura paterna al bambino, che viene chiamato Arthur. Kaspar è un prete saggio, gentile e comprensivo, ma, non avendo mai conosciuto altro stile di vita che quella religiosa, si rivela un uomo immaturo, poiché non ha mai provato amore, pena o dolore. Nel frattempo, Arthur cresce curioso e felice. Dopo questa lunga ed opportuna narrazione, che serve per comprendere il concept, passiamo al lato musicale: il brano inizia con un versetto recitato in latino ed accompagnato dal pianoforte, quindi si indurisce in un crescendo sinfonico e, dopo un assolo melodico, si chiude nuovamente al piano. Si continua con “The Way You Show”: Kaspar educa il figlio secondo i canoni religiosi, ma osserva, preoccupato, che Arthur è intelligente e dotato di una fortissima voglia di conoscenza, visto che si chiede spesso se non esista altro al di là dei dogmi e dei misteri della Chiesa. Aperto dalle tastiere, il pezzo si pone a metà tra un classic metal aggressivo ed un thrash metal raffinato, passando anche per una fase cadenzata, ricca di elementi sinfonici e prog metal. Nella breve “The Truth I Knew Within”, strutturata come misterioso crescendo di piano e tastiere, scopriamo che Arthur, ormai adolescente, studia in segreto filosofia, psicologia e scienze, dato che la religione gli appare limitata, trovando nelle opere di Schopenhauer le risposte ai suoi dubbi sulla sofferenza e sulla crudeltà di un mondo corrotto. Si passa al secondo capitolo con la veloce “Disclaimed Son”, nuovamente in equilibrio tra classic e thrash metal, in cui Arthur torna dal padre con un nuovo modello di conoscenza, ma viene espulso dalla Chiesa e ripudiato da Kaspar, che non riconosce altra verità differente dalla propria fede. Su “Broken Blood Ties” vediamo Joan che, terrorizzata da qualsiasi dottrina che non sia quella ecclesiastica, rigetta il proposito del figlio di costruirsi una propria via, libera da superati pregiudizi; per questo motivo Arthur si allontana, promettendo di tornare quando riuscirà a farsi comprendere dai genitori. La canzone poggia sulle tastiere, che si alzano solenni, quindi si fanno spazio dapprima una parte ritmata ed epicheggiante con tanto di sovrapposizioni vocali, successivamente una sinfonica, conclusa da un assolo melodico. Il terzo capitolo inizia con “Last Vanishing Hopes”: dopo nove anni Arthur torna a casa, dalla quale va via ben presto, per colpa di un altro litigio con la madre dovuto non solo alla sua prolungata lontananza, ma anche all’aumentata distanza tra i due stili di vita; addolorata per il nuovo abbandono del figlio, dal quale è stata addirittura disconosciuta, Joan si avvelena ed è ormai troppo tardi quando il ragazzo, colpito dal rimorso per aver formulato parole troppo dure, torna indietro per scusarsi. Un lento da brividi, che si avvia acustico ed all’insegna del solismo e cresce disperato, arricchito da un buon lavoro di tastiere e di chitarra. In “Requiem For A Mother” Kaspar, saputa la tragica notizia, cade in preda alla follia, esasperando la sua fede così tanto da vedere il figlio come un demone da punire. Al funerale della donna, celebrato proprio da Kaspar, Arthur si accorge dell’ipocrisia di tante persone, che non avevano mai conosciuto la madre, o addirittura l’avevano sempre isolata, ma adesso piangono sulla bara; al termine della cerimonia, Arthur vorrebbe condividere il dolore e la disperazione con il padre, visto che si sente colpevole dell’accaduto, ma trova in lui soltanto accuse, violenza ed odio. Il brano, in origine lento e cadenzato, si fa più duro e ritmato in corrispondenza di una sovrapposizione tra voce pulita e growl, quindi prende velocità in mezzo alle tastiere, dirigendosi verso un rallentamento finale molto solenne. Il quarto capitolo si apre con lo strumentale “Kissing Madness' Eyes”, in cui la pazzia di Kaspar si aggrava; il pezzo ci permette di apprezzare il lavoro della sezione ritmica, che si destreggia in un misto di thrash e prog metal, completato da due assoli e da coinvolgenti atmosfere. Si continua con “The Demon Inside The Shepherd”, dove Kaspar medita di uccidere Arthur esattamente un anno dopo la morte di Joan, proprio nel luogo dove è sepolta: la meritata punizione, giusta perché divina, porrà fine all’infezione demoniaca. Stavolta alla ritmica spetta il duro compito di supportare con la velocità del thrash un growl assassino, ma anche di rallentare opportunamente su qualche passaggio di stampo epic metal. “The Sunset Beyond My Eyes” è un’altra lenta in crescendo, che ci mostra Arthur davanti alla tomba della madre; solitudine, dolore e malinconia sono ciò che prova ad un anno di distanza dal tragico evento ed in sé rivede la triste condizione dell’umanità. Altri ricordi e sentimenti profondi si affollano su “One Last Silence”, quando Kaspar, totalmente folle, pugnala il figlio che, stanco di vivere in compagnia del rimorso e del dolore, non offre alcuna resistenza, poiché vede gli ultimi istanti di vita come il momento finale da poter trascorrere insieme al padre. Dapprima rarefatta, quindi ritmata ed aggressiva, la canzone trova respiro melodico grazie ad un pianoforte che ricorda non solo il prog, ma anche il black metal atmosferico. Il quinto capitolo coincide con “Requiem For A Son”. Dopo aver fatto passare l’omicidio per un suicidio, Kaspar celebra il funerale di Arthur: come prete sente di essere vicino al Paradiso, mentre come padre avverte la perdita del figlio. Il brano inizia con due parti del Requiem recitate in latino e sostenute dal suono dell’organo liturgico, quindi corre veloce su un continuo tappeto di tastiere e sovrapposizioni vocali; si mescolano ancora prog e thrash metal, growl e coro fino al finale epico, dominato dal solismo e caratterizzato da un'altra parte recitata con accompagnamento di pianoforte. Anche il sesto capitolo è formato da un solo pezzo, “Dona Eis Requiem”, una suite che dura oltre diciotto minuti e, a sua volta, è divisa in sei movimenti. Il primo dura circa sei minuti ed è interamente strumentale: dapprima cadenzato, accelera insieme ad un eccellente lavoro di tastiere melodiche, che vertono su un ritmo ancora oscillante tra prog e thrash metal, con predominanza del primo. Il secondo movimento, inizialmente lento, esplode all’insegna del thrash, al quale fa seguito la terza parte con intermezzo di tastiere, mentre un coro epic caratterizza una quarta parte più ritmata; dopo un quinto movimento solenne e drammatico spetta al sesto, basato sul pianoforte e sulla disperazione, ospitare il finale recitato. Dal punto di vista della trama, il brano mostra Kaspar che, ormai novantenne, poco prima della morte racconta la sua storia ad Elias, suo secondo allievo e figlio, al quale raccomanda di seguire i suoi esempi; Elias rispetta il padre nell’ora dell’addio, ma condanna totalmente la sua azione, rimanendo circondato dalla pena, dal silenzio e dalla paura della solitudine. La conclusione, nello specifico, è affidata ad un verso in latino che contiene un esplicito riferimento all’album che seguirà, cioè “Opus II – Umbra Noctis”. Com’è evidente da quanto finora descritto, ci troviamo davanti ad un lavoro veramente elaborato, visto che per un’ora ed un quarto vengono attraversati parecchi settori di quel vasto mondo chiamato heavy metal. La voce, dolce ed aggressiva, sussurrata e feroce, profonda ed acuta, si dimostra abile nel variare timbri e tonalità in base all’occorrenza; anche la tecnica strumentale è notevole, visto che il CD sfoggia assoli, melodie e frequenti cambi di tempo. Siamo certamente di fronte ad un esempio di Arte, fondamentale per qualunque metallaro, senza alcuna distinzione di settori: infatti, anche gli ascoltatori abituati a suoni più estremi dovrebbero apprezzare un disco marchiato a fuoco da un evidente anticlericalismo; il messaggio laicista trasmesso in questo caso, però, è molto più efficace delle blasfemie banali ed infantili utilizzate da alcune formazioni piuttosto povere di capacità ed inventiva. Prima di concludere ci assale un dubbio che purtroppo neppure Schopenhauer può risolvere: per quale assurdo motivo i Sextum Sepulcrum non hanno ancora firmato un contratto con un’etichetta specializzata? 88/100
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Formazione in studio: Anno: 2009 |