In attività da quattordici anni e con due demo ed un EP autoprodotti alle spalle, gli Egart (sestetto proveniente da Novara) tagliano ora il traguardo dell’esordio discografico sulla lunga distanza.
Il gruppo ha coniato la definizione “chaos metal” per descrivere la propria musica. L’esperimento è quello di mescolare i molteplici affluenti che alimentano il grande fiume del metal per dare vita ad un lavoro eclettico e singolare. Infatti su di un impianto sostanzialmente death, per l’impiego quasi costante del cantato growl, si innestano sonorità power e cori epici, come accade in “Ultra” il brano d’apertura, oppure frammenti di black metal, sorretti da possenti ritmiche in doppia cassa, come in “Lament Configuration”. In generale le atmosfere sono volutamente cupe e claustrofobiche in quanto necessarie a sposare l’oscurità dei temi trattati; esempio lampante è la doppietta ispirata alla letteratura di Howard Phillips Lovecraft: “Necronomicon” (il misterioso Libro dei morti, attribuito ad uno stregone arabo, ma in realtà inventato dallo scrittore americano per dare maggiore credibilità ai propri racconti) è una song caratterizzata da un ritornello di grande impatto e da un assolo di chitarra, non a caso, orientaleggiante; mentre “Innsmouth”, che parte con una intro ipnotica di stampo industrial, si sviluppa con un andamento power e racchiude al suo interno persino un coretto in stile Beach Boys, prende le mosse dal racconto La maschera di Innsmouth, nel quale Lovecraft ci narra di un patto stipulato tra gli anziani abitanti della immaginaria cittadina portuale di cui al titolo ed alcune creature demoniache provenienti dalle profondità dei mari (Quelli degli abissi in inglese Deep Ones). Le creature abissali, in cambio di oro e pesce, pretesero il sacrificio di alcuni giovani e, in seguito, vollero mescolare la propria razza con gli umani del villaggio. L’incrocio tra le due razze causò numerose deformità nella popolazione. Il protagonista della storia, così come quello della canzone, un giorno, guardandosi allo specchio, scopre con orrore la propria metamorfosi, avendo assunto i tratti tipici della stirpe ibrida: occhi fissi e sporgenti, pelle secca e malata e piaghe intorno al collo, simili alle branchie dei pesci. Un funereo organo a canne ci accompagna in “Graveyard” (cimitero), pezzo che, volgendo al termine, si trasforma in una energica e devastante cavalcata. “Zero Dimension” è un brano tiratissimo e travolgente, puro thrash, con alcune strofe cantate in latino ed un buon lavoro delle tastiere. In “Imperial Guard” è tangibile la lezione degli Iron Maiden e, più in generale, della NWOBHM, anche qui le tastiere impreziosiscono il tutto. Segue “Nova”, che si distingue per un maggiore equilibrio tra voce growl e cantato pulito, per il sovrapporsi delle voci e per il suo riffing poderoso. Chiude “End Of Generation”, forse l’episodio più maturo e convincente, ricco di molteplici cambi di tempo e atmosfera, nel quale tastiera e chitarre viaggiano compatte sino all’apertura del maestoso chorus. Il risultato complessivo è omogeneo e coerente, tutti i brani son ben strutturati; i melodici assoli di chitarra apportano ampio respiro ai pezzi, squarciano il drappo oscuro e horrorifico intessuto dalle keyboards e aprono una breccia nel muro sonoro innalzato dalla sezione ritmica e dall’uso aggressivo della voce, facendo intravedere uno spiraglio di luce e speranza oltre le tenebre. L’unico suggerimento possibile, a giudizio di chi scrive, è quello di concedere ulteriore spazio alle tastiere, facendole duellare maggiormente con le chitarre e utilizzando suoni più moderni. La scelta del gruppo di andare alla ricerca di una propria cifra stilistica, tentando un crossover, non tra generi diversi, ma tra i vari sottogeneri del metal, è sicuramente coraggiosa ed il tentativo di proporre qualcosa di diverso ed originale sembra riuscito. Who dares wins, chi osa vince. 75E/100
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Stefano “Raimu” Muccio: Voce Anno: 2010 |