Gli emiliani Dark End, al debutto discografico, sono gli artefici di "Damned Woman and a Carcass", album di ben dodici pezzi, improntato ad un black metal sinfonico di ispirazione Dimmu Borgir, che scorre veloce su testi tratti da "Spleen" e "Le Fleurs du Mal" di Charles Baudelaire.
Il CD, che dura quasi un'ora, anche se agevolato nel compito in quanto sostenuto da così nobili fondamenta, è ricco di spunti originali e di notevole personalità; gli autori, pertanto, sembrano pronti a distanziarsi ulteriormente dai loro maestri lirici e musicali e ad assumere una propria fisionomia, pur rimanendo sulle stesse coordinate sonore, senza rinnegarle come fanno in tanti, con la scusa pietosa della raggiunta maturità artistica ed umana. Certamente un buon lavoro, a partire da una copertina azzeccata, che richiama alla memoria quella di "Demons and Wizards" dei leggendari Uriah Heep: l'immagine è goticamente naif e rappresenta una donna vestita di rosso impiccata ad un albero spoglio, sullo sfondo della luna piena e di un paesaggio invernale. Il retro, invece, mostra il viso della ragazza solo a metà, lasciando gli occhi nel mistero e richiamando la nostra attenzione sul collo, dove è evidente la ferita sanguinante provocata dal cappio. La donna, quindi, è ancora viva? All'interno del libretto, dalla grafica elegante e dai colori ben amalgamati, compaiono due testi (un peccato non averli a disposizione tutti), affiancati da un dipinto veramente particolare, raffigurante una donna senza volto, alla quale è caduta la maschera schizzata di sangue. Ancora mistero, pertanto: la donna è coperta soltanto da un velo trasparente che lascia intravedere la sua corporea bellezza terrena, per nulla scalfita dalla morte. La produzione è ottima, visto che i suoni sono chiari e distinguibili, non impastati, come spesso capita negli album black metal; subito appare evidente che la formazione è dotata di buona tecnica, a ricordare che heavy metal significa prima di tutto saper suonare e non, come purtroppo molti gruppi credono al giorno d'oggi, gareggiare a chi fa più rumore. Il disco comincia con una tipica intro dalle atmosfere darkeggianti e sinfoniche, intensa apertura per "Vampire", caratterizzata dalla ripetizione di duetti chitarristici e di assalti furiosi; segue "Sed Non Satiata", dove un po' di spazio in più è concesso alle tastiere, che emergono solenni, seguite da un valido assolo. In "Destruction" l'avvio è affidato ad una tastiera malinconica, motivo che verrà ripreso qua e là durante il brano, in cui spiccano un sintetizzatore eccellente nel lirismo ed ancora un assolo di chitarra di una certa consistenza. "Damned Women" presenta, dopo l'arpeggio iniziale, ripetuti cambi di tempo, mentre su "A Carcass", più diretta, il cantante si lancia per la prima volta in un aggressivo growling. "De Profundis Clamavi" pone le tastiere in evidenza per buona parte del pezzo, fino ad arrivare al momento in cui l'ascoltatore è invitato a sognare, per essere bruscamente svegliato, in seguito, da una ritmica imponente e da un nuovo growling; si prosegue con "Obsession", all'insegna del sintetizzatore, canzone classicheggiante, barocca, a tratti ossessiva, in onore al titolo che porta. Ci si ferma per due minuti, che da soli valgono il prezzo dell'intero album; ciò che ai superficiali potrebbe sembrare semplicemente "il tipico interludio del black metal sinfonico" è invece un pezzo molto interessante, dove la dolcezza del piano, che segna inizio e fine della melodia, è interrotta da una chitarra sofferta, per un invito alla riflessione, al rilassamento, nonchè per una dimostrazione di tecnica. Questa è vera arte, anzi, per essere più precisi, Arte con la "a" maiuscola! Il massacro riprende con "The Two Good Sisters", che, successivamente, rallenta su un riff che, a dir la verità, sa di "già sentito" e si chiude in modo gentile; "The Dancing Serpent", rispetto al resto del disco, ci mostra un suono più tradizionale, più compatto, con un'alternanza tra voci sussurrate, screaming ed ancora growling, all'insegna della varietà vocale, accompagnata ancora dal sintetizzatore e da un altro assolo di chitarra. La cover dei Joy Division è un esempio di come si possa suonare una lenta tristezza sopra un tappeto ritmico di assalto sonoro; il ritmo prosegue marziale, quasi da battaglia, un incedere incalzante fino alla conclusione, che spetta al piano. Un prodotto notevole, quindi (quasi un concept album, dato che è interamente basato sulle immortali parole di Baudelaire), riuscito e coinvolgente, non scontato come, a volte, potrebbe sembrare il black metal, dato che i semi per il settore sono stati piantati da più di un decennio e dopo un lungo periodo di saturazione e di dischi fotocopia; non è questo il caso dei Dark End, dato che la classe non è acqua e l'alternanza tra melodia, solismo e furia è molto curata. Un gran lavoro da parte di tutti i musicisti, che aspettiamo con molta curiosità al varco della prossima fatica, con l'augurio che, anche se con testi propri non dovessero raggiungere le alte vette poetiche (impresa veramente titanica, dato l'illustrissimo punto di riferimento scelto in questo caso, ma non possiamo che augurare loro tutte le fortune possibili, anche se al destino occorre sempre aggiungere l'impegno, lo studio e la passione), almeno confermino la buona impressione fornita dalla parte musicale. Album consigliatissimo, pertanto, oltre che ai seguaci della scena estrema, ai metallari più legati ai settori classic, power, prog ed epic, perchè un occhio su qualcosa di diverso dal proprio orticello non guasta mai e, più in generale, a tutti gli estimatori delle sonorità gotiche, della pittura e della poesia, poichè questo disco è la fusione di tre arti diverse, quindi - lo ripetiamo senza stancarci - Arte esso stesso. 80/100
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Greg: Voce Anno: 2007 Sul web: |