Roma, 21 Aprile 2016 - Monk Club
Serata davvero elettrizzante, quella che ha visto come ospite all'interno del consueto appuntamento Jazz Evidence del Monk Club, Robert Glasper, artista che da diversi anni si sta facendo valere nel campo del jazz contaminato e d'avanguardia. I due dischi Black Radio ed il seguito Black Radio II, sono fulgidi esempi di come campi musicali molto distanti tra loro, come il jazz e l'hip hop riescano in qualche modo a raggiunger un punto d'incontro, con un risultato molto interessante e inaspettato. Il Glasper Experiment si presenta sul palco con una formazione a quartetto, costituto dal pianista statunitense, il bassista Burniss Travis II ed il polistrumentista Casey Benjamin, che si alterna tra parti vocali, vocoder, keytar e sax. E' un Monk non pieno, ma particolarmente in visibilio per il gruppo, cosa inaspettata, composto da molti ragazzi giovani particolarmente attenti, ma anche soggetti che passano tutto il concerto a filmare con il cellulare, invece di guardare direttamente con i loro occhi ed ascoltare. Purtroppo è una consuetudine con il quale farci il callo, se non ci si vuole avvelenare. L'ascolto live dei brani per questo tipo di repertorio ha decisamente una marcia in più. Dove, i pezzi su disco risultano più asettici e fortemente caratterizzati da parti elettroniche, qui vengono restituiti con una dimensione di ampio respiro, maggiormente strumentale e fortemente protesa ad una vena improvvisativa che lambisce praticamente tutto il concerto (un paio di esempi su tutti:la destrutturazione jazzata del brano "Smells Like Teen Spirit" dei Nirvana e "I Stand Alone") . Vengono fuori particolarmente bene sia gli interventi dell'ottimo Mark Colenburg, il quale ha un drumming serrato ma sempre particolarmente raffinato che cattura l'attenzione dei presenti. Ma più di tutti colpisce il placido ed estroso Casey Benjamin che mostra notevoli qualità di gusto improvvisativo negli sporadici inserti al sax. Ovvio non parlare di Glasper, che ha una tecnica cristallina ai Rhodes dimostrata sia nelle sezioni solistiche che in duetto con Colenburg. Non mostra mai autoritarismo nei suoi interventi, anzi, ama particolarmente l'orchestrazione collettiva dei proprio sodali, dandone grande spazio. Due ore abbondanti di qualità strumentale, senza mai venir meno ad orecchiabilità, leggerezza, ma anche groove forsennato. |
Robert Glasper: Fender Rhodes, tastiere Data: 21/04/2016
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