Attinto dal repertorio di Giorgio Gaber degli anni '70 e '80, eccetto brevissime incursioni nei decenni precedente e successivo, lo spettacolo presentato oggi da Neri Marcoré propone l'amata formula del teatro-canzone, pur sbilanciata a favore della musica (17 brani a fronte di 6 monologhi). Affiancato dal medesimo organico di strumentisti già apprezzato ne "Le mie canzoni altrui" - tenuto due anni fa ad Ostia Antica, più recentemente alla Villa Chigi di Ariccia - l'artista romano estrapola copiosamente l'avvincente e sempre attuale archetipo concettuale del Gaber più sferzante e mordace, non importa se a vocazione canora o monologhista, dagli album "Far finta di essere sani" (1973), "Anche per oggi non si vola" (1974), "Libertà obbligatoria" (1976), "Polli d'allevamento" (1978), "Pressione bassa" (1980), "Anni affollati" (1981), "Io se fossi Gaber" (1985), affiancandovi 2 singoli del 1969 e altrettanti brani dal cd "E pensare che c'era il pensiero" (1995). Certo, tralasciare un concentrato di sagace ironia e pensiero trasversale quale l'album "Dialogo tra un impegnato e un non so" del 1972 (vi era contenuto, tra gli altri, il notissimo "Lo Shampoo") - anche ignorando brani iconici come "La mia generazione ha perso", "Qualcuno era comunista", "Destra sinistra", "I soli", "Io se fossi Dio" - può sembrare un'operazione azzardata, se non del tutto incauta, se non fosse che l'arte di Gaber: a) è fin troppo estesa per offrirne una sintesi esaustiva in sole due ore; b) è (tutta) talmente valida che, con lui, come si pesca si pesca bene. Detto ciò, tralasciando di spendere parole a favore dei quattro musicisti coinvolti nel progetto (con ciò intendendo che, quanto speso a loro favore nel corso delle due recensioni linkate poco sopra è da intendersi qui integralmente ripreso), il format "Gaber: monologhi e canzoni" risulta assai convincente, sia per il talento vocale ed interpretativo palesato da Neri Marcoré, che, peraltro, ci è parso compatibile con l'espressivitá dell'artista scomparso, sia considerando la sua caparbia volontà di sganciarsi dall'ovvio, prendendo le distanze dal prevedibile nell'offrire un repertorio non sempre conosciutissimo (pur intriso di eccellenze contenutistiche in grado di far rimpiangere quello più noto). Se ci è permessa un'osservazione, unica riserva qui espressa nei confronti dell'esibizione (della quale si auspica verrà colta la finalità costruittiva) variare le liriche consolidate di brani come "Si può" (con l'innesto della frase "si può fare ministri dei gran minchioni, si può fare un selfie con la Meloni"), "Al bar Casablanca" (inserendovi riferimenti alle recenti proteste perpetrate dal popolo francese e alla resilienza manifestata da quello ucraino a seguito dell'invasione russa), "Barbera e Champagne" (ove vengono nominati la Schlein, nuovamente la Meloni e, se non abbiamo capito male, anche Salvini), ci è parsa operazione non molto rispettosa sul piano squisitamente filologico: non potendo conoscere il pensiero di Gaber sulla scena politica corrente, nazionale ed internazionale, ed ipotizzando l'assenza di un eventuale plauso espresso da Luporini, forse sarebbe stato il caso di astenersi dal modificare alcunché. |
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