I Magic Medicine sono una più che promettente band del panorama musicale giovanile pistoiese, messasi in luce come cover band del gruppo californiano dei Red Hot Chili Peppers ma allo stesso tempo autori di un proprio percorso artistico.
Le otto tracce qui esaminate sono l’unione di due demo autoprodotti dalla band (Primavera-Autunno 2006). La tracklist è un perfetto equilibrio delle due anime della band: quattro rifacimenti dello storico gruppo rock funk americano e quattro pezzi propri, questi ultimi probabilmente la cosa più interessante di questi quaranta minuti di musica. Si parte con il funk rock adrenalinico di Around The World: se l’aspetto tecnico non è il massimo, dal punto di vista stilistico questa versione rende bene, soprattutto nel groovy e nella grinta, già a partire dall’urlo primordiale di Riccardo, ottima introduzione ai colpi di batteria di Andrea. Le seconda cover della “prima parte”, Give It Away, convince appieno per l’ottimo lavoro di chitarra di Raffaele, musicista con un talento davvero non trascurabile: un vero seguace di Frusciante. Non benissimo il testo, eccessivamente strascicato; la metrica non rende molto bene l’idea di rapcore magistralmente espressa nell’originale. Ottima la ritmica, con il basso di Marcello ben settato, pomposo, che fa da cicerone collante ad Andrea dietro le pelli. Capitolo inediti. “My Cold Dicember Night” si presenta come un rock malinconico, dove il flebile cantato è supportato da una trama chitarristica ben strutturata:ottimo l’assolo (dalle chiare impronte “Frusciantesche”) a metà del pezzo . L’atmosfera che si riscontra ascoltando questa canzone è di serenità; le melodie della “medicina magica” sono solari e molto espressive, in linea con un certo rock californiano che richiama, anche grazie al sapiente inserimento di coretti da spiaggia e alla scuola ’60 e ’70, pur mantenendo una modernità di fondo non indifferente. “The First Time I’ve Seen Your” si apre con un riff acido ed al limite dello speed blues per poi mantenere un crescendo più rock. Il basso splappa una linea puramente funk, e qui la voce di Riccardo si fa meno flebile e più spaccona, il che denota anche una certa capacità nel trasmettere emozioni cantando. Nel finale trova spazio anche un diversivo leggermente più psichedelico che poi sfocia negli ultimi secondi in una sfuriata punk: buona anche questa. La seconda parte del demo ci presenta le altre due cover dei Red Hot Chili Peppers, più convincenti rispetto alle prime due: “By The Way”, che regge bene anche nel ritornello, risulta comunque penalizzata dai suoni dalla registrazione a basso costo; “Charlie”, invece, estratta dall’ultmo album in studio del quartetto californiano, risulta essere davvero valida: la geometria funk dell’originale è rispettata e ben riprodotta, e anche Riccardo, con una melodia vocale del genere, sembra essere più a suo agio. I sei mesi di differenza dal primo al secondo demo hanno donato al combo pistoiese più padronanza col funk dei Red Hot, e anche nei propri pezzi si denota un songrwriting più maturo e robusto, segno del duro lavoro e delle esibizioni locali che hanno portato un bagaglio di esperienza in seno alla band considerevole: tutto ciò si rispecchia nell’accoppiata finale che va a chiudere questa recensione. “Satellite” parte con un arpeggio delicato ed al limite del pop più sperimentale; il cantato, sempre in inglese, si fa apprezzare per degli acceleramenti nella strofa. Il chorus esplode bene, con la seconda voce in falsetto e con l’asse basso\batteria ben affiatato;nel finale appare anche un synth, che chiude il pezzo. Anche qui le coordinate virano verso un rock molto lineare ed american oriented, non a caso le influenze maggiori della band toscana vengono dal nuovo continente. “The Devil”, dalla durata di quasi sette minuti, stupisce per il taglio apocalittico: appaiono vocoder, effetti di chitarra psichelici e struttura dilatata; viene rotto lo schema della canzone tradizionale per un qualcosa di meno accessibile, più intimo(come già il cantato può suggerire) anche se il ritornello, quasi urlato in segno di un disagio, può trarre in inganno. I ragazzi hanno talento, di quello che ci piacerebbe scoprire più spesso. Sono in possesso di una mentalità compositiva eclettica e per quanto riguarda le loro composizioni, mai banali, obiettivamente Raffaele pare essere colui che si diverte di più nello sperimentare suoni di chitarra diversi e distorsioni particolari. C’è da dire però che anche il resto della band lo segue, forse nel tentativo di trovare più spazio anche al di fuori delle mura locali. In attesa di un demo con qualità ancora superiori promuovo appieno gli inediti, mentre c’è qualcosa da rivedere nel repertorio dei Red Hot. Se contiamo però che in quattro non fanno nemmeno novanta anni e sono al terzo anno di attività con questa formazione, non ci resta che ben sperare per il futuro. Bravi e genuini, mica poco. |
Riccardo Zangola: voce Anno: 2006 |