Nati col chiaro intento di essere una sorta di parodia autoironica di tutto il filone glam rock degli anni '70 (ma con una passione smisurata per i Queen), i The Darkness tornano oggi dopo 7 anni di silenzio con Hot Cakes, un disco che nel bene e nel male non farà cambiare idea a chi li amava, cosi come a chi li odiava. Superati i problemi d'alcolismo del cantante Justin Hawkins (che ha pure tentato senza grossi risultati una carriera solista, con tanto di partecipazione al festival Eurovision) e accantonato il progetto Stone Gods da parte del resto della band (a livello commerciale anch'esso mai esploso), il terzo disco in studio del quartetto inglese, come anticipato nell'introduzione, non si sposta di una virgola da quanto sciorinato in Permission to Land (2003) e nel successivo One Way Ticket to Hell...and back (2005): (hard) rock melodici dove svetta la squillante voce di Hawkins (talvolta anche in falsetto) fa da cicerone alle partiture glam del resto del gruppo; in queste canzoni insomma, trovate in egual misura Thin Lizzy, Sweet, i già citati Queen e una spruzzatina di AC/DC. Indicativa in apertura il singolo dalle liriche sboccate "Every Inch Of You" - dimostrazione di come per loro il tempo non sia mai passato - che fa il paio con l'altrettanto antemicha "Nothing's Gonna Stop Us", più ritmata rispetto alla prima. Con "With A Woman" la musicalità si indurisce progredendo su lidi più hard rock con ricami vocali azzeccatissimi (e chiaramente queeniani - cosi come “Everybody Have A Good Time”), ma forse il momento più alto della raccolta di ottiene con la ballata "Livin' Every Hangin' On", che palesa tutte le abilità dei The Darkness con i pezzi più lenti, rimembrano anche la splendida "Love is Only a Feeling" dal loro debutto. Non mancano di certo brani più manieristici, ed è ancora tutta da decifrare la scelta da parte della band di insierire nella tracklist la cover dei Radiohead di "Street Sprit", cosi come anche le bonus track inserite nella Deluxe Edition del disco non aggiungono niente di particolarmente allettante, fatta forse eccezzione per "Cannonball", che vede la partecipazione di Ian Anderson dei Jethro Tull. Tutto sommato Hot Cakes ci ridona una band in buon stato di forma, che si "limita" a fare (ma bene) le cose che gli riescono meglio, mantenendo sempre una certa attitudine scanzonata e frivola, e tornando probabilmente nel momento più propizio (Rock of Ages docet) per fare riscoprire un genere sempre troppo bistrattato, ma che quarant'anni or sono, era colonna sonora di miliorni di rocker sparsi nel mondo. 67/100
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Justin Hawkins: Voce, chitarra e tastiere Anno: 2012 |