Posticipato più volte a causa di alcune vicissitudini discografiche, è finalmente arrivato Wake The Sleeper, primo album di inediti da dieci anni a questa parte per una delle principali band (se non la più importante in assoluto) ad aver fuso alla perfezione il classico hard rock britannico al progressive più epico e pomposo.
Gli Uriah Heep versione 2008 vedono così come unico comune denominatore con la formazione originale il sempre ottimo chitarrista Mick Box, dopo un inaspettato cambio dietro le pelli: infatti poco prima di iniziare le registrazioni di questo disco, lo storico Lee Kerslake ha lasciato il posto di batterista a Russel Gilbrook. Un’altra premessa doverosa da fare prima di analizzare le tracce di questo lavoro è quella di dire sin da subito, che pur non riuscendo a ripetere la magia di album splendidi come Salisbury, Demons & Wizard e Return To Fantasy, questo Wake The Sleeper si presenta come un disco ben suonato e arrangiato, con una prestazione complessiva di assoluto valore e una manciata di pezzi di altissimo livello, che pongono questo lavoro in studio n.21 (questi signori hanno quasi quarant’anni di storia dietro le spalle) tra i migliori almeno dalla fine degli anni ’80 ad oggi. Sempre più “semplice” hard rock melodico e sempre meno progressive, Bernie Show e soci mettono subito le cose in chiaro con l’iniziale title-track, una classica cavalcata epica come solo gli Uriah Heep sanno fare. Sostenuta da un crescendo gospel nel cantato, la base propone una cascata di note a flusso continuo, mentre la successiva “Overload”, tra le migliori esecuzioni della raccolta è un bel duello tra la chitarra liquida di Mick Box e le testiere di Phil Lanzon, dove la voce cristallina e potente di Shaw è il perfetto collante melodico. Già da queste due prime tracce quindi, all’ascoltatore rimarrà abbastanza facile intuire che questo è un ritorno ispirato e voluto col cuore, per una formazione che magari dal punto di vista discografico non ha niente da aggiungere al proprio repertorio, ma che dimostra un’urgenza espressiva e compositiva degna di una band alle prime armi, segno che la scuola rock inglese degli anni settanta in realtà ha dato al nuovo millennio non dei “relitti” del rock pronti a sfornare dischi per riempire i propri portafogli, ma musicisti di rara professionalità e competenza non facilmente reperibili tra le nuove leve. Scorrendo quindi la tracklist, ci sentiamo di segnalare all’interno di questo godibilissimo viaggio sonoro “Book Of Lies” (che arriva dopo un paio di episodi meno incisivi ma pur sempre sopra la sufficienza), che presenta un riff secco ed incisivo accompagnato dai colpi di Gilbrook arrivando ad un refrain solare e trascinante e “Shadow”, che riporta direttamente con la sua maestosa epicità ai momenti migliori della produzione del combo. Chiosando va detto, che se oggi gli Uriah Heep, tra le band degli anni ’70, sono forse l’ensemble ingiustamente meno acclamato e ricordato, lavori come questo ci devono far riflettere e pensare se davvero definizioni come “superati” o “dinosauri” si possano applicare con superficiale semplicità oppure avendo la coscienza a posto. Per tutto il resto ci sono sempre Black Mountain e Black Bonzo, che devono molto della loro esistenza a questi tutt’altro che attempati 60enni. Semplicemente riuscito. 79/100
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Mick Box: Chitarra e voce Anno: 2008 Sul web: |