Roma, 9 Novembre 2015 - Palalottomatica
Diciamocelo fuori dai denti: sono anni che si blatera della crisi dell’industria discografica e tutti sembrano strapparsi i residui capelli perché non si vendono più dischi… ma per quanto mi riguarda, il rock ha già raccontato tutto quello che doveva dire e non basterebbero tre vite per ascoltarsi tutta la roba buona rimasta nel dimenticatoio, coperta dalla polvere dell’ignoranza o, peggio, dell’indifferenza. Quindi, chi se ne frega se l’ultimo degli Scorpions (nome fatto "a caso") ha venduto un decimo delle copie di "Blackout", anche perché sono assolutamente, dogmaticamente certo che quest'ultimo gli è almeno dieci volte superiore per qualità. Inoltre, e arriviamo al punto, la suddetta crisi discografica ha portato come conseguenza altamente positiva il proliferare di concerti interessanti anche in un paese culturalmente retrogrado come il nostro, mentre nei pur meravigliosi anni 80 gli eventi indimenticabili si contavano sulle dita della mano. Portati dalla efficiente Live Nation (www.livenation.it/), Finalmente gli Scorpions a Roma, in un Palaeur fortunatamente non stipato in ogni ordine di posti, sì da potermi consentire una visione comoda nel parterre evitando la ressa, che diventa vieppiù insopportabile quando causata dal pubblico casuale, quello che, nello specifico, è venuto ad ascoltare soltanto le ballate strappamutande del quintetto di Hannover, come "Still Loving You" (e passi, perché è sempre un godimento) oppure quella bolsa canzoncina che inizia con Klaus Meine che fischietta e parla del Gorky Park (non voglio nemmeno nominarla, mi ha sempre fatto ribrezzo). I crucchi ci menano il torrone con la faccenda del tour dei 50 anni, ma la loro vera storia comincia nel 1971 con l’eccellente "Lonesome Crow". Ovviamente, a noi nulla interessa di quando imberbi e brufolosi strimpellavano nelle cantine… purtroppo hanno inciso troppi dischi (l’ultimo buono è "Face The Heat" del 1993, gli altri li lascio al gatto) e quindi hanno pescato anche nel dispensabile materiale recente, ma per fortuna hanno privilegiato gli anni migliori, addirittura concedendosi una medley dell’era-Uli Jon Roth, aperta con una "Top Of The Bill" da orgasmo (sonoro e non solo). Alle soglie dei 70 anni, Meine canta ancor niente male, nessun calo di voce e buona padronanza dei momenti più complicati: questo è mestiere ad alti livelli boys, professionalità a tutto bordone, niente chiacchiere. E pazienza se qualche backing vocal (beh, quasi tutte in realtà) era preregistrata: lo fanno quasi tutti ormai, vuoi non concederlo a questi eroi? Rudolf Schenker, poi, ha ancora il pepe addosso: sa bene che lo spettacolo pretende anche la giusta dose di mosse, di pose plastiche: di sterili esibizioni di tecnica non ce ne frega niente! Matthias Jabs, anche se non ha il carisma degli illustri predecessori (Roth e Michael Schenker) è un axeman di classe, assoli di gusto, senza mai sgarrare, ottimo anche il suo personale spot strumentale, "Delicate Dance", quando Rudy e Meine sono andati a riposare dietro le quinte e un roadie è salito sul palco imbracciando la rhythm guitar (giustamente tutti si chiedono "ma quanto trombano i musicisti famosi?": tanto, ma anche i roadies se la divertono. Me lo immagino quello alle prese con qualche "Backstage Queen" alla quale promette l’ingresso nei camerini in cambio di… ma non divaghiamo troppo). Kottak è il batterista perfetto: pochi fronzoli, tanta potenza e quella giusta dose di sana coattaggine, con l’inevitabile drum solo mentre la batteria si elevava alla maniera di Eric Singer. "Dynamite", "Rock You Like A Hurricane", "Big City Nights", "Make It Real", "The Zoo"… anche se sono più i classici esclusi dalla scaletta di quelli suonati, cosa gli vuoi dire a fenomeni che tirano fuori pezzi del genere? Dai, non scherziamo… qui siamo al livello dei Triumph, degli Y&T, dei Riot… appena appena sotto i 5/6 gruppi migliori della Storia del Rock: qui siamo al cospetto della Leggenda!Per quanto mi riguarda, avevano già vinto dopo 10 minuti, quando anche Meine ha imbracciato la chitarra sul celebre strumentale "Coast To Coast", e si sono messi in quattro (c’era anche il bassista di cui neppure ricordo il nome giacchè, per me, IL bassista degli Scorpions resterà sempre Francis Buchholz) sulla passerella posta di fronte al palco a spararsi le pose come il Vero Rock pretende, con buona pace dei seriosi onanisti che disquisiscono dei sette ottavi e si guardano i Dream Theater con il cannocchiale "per meglio ammirare i fraseggi di Petrucci". Ah, in apertura c’erano i Rhapsody. Detto che fuori dall’Italia si è cominciato a parlare di Heavy Metal italiano soltanto quando sono venuti fuori loro (perché bisogna essere intellettualmente onesti), e aggiunto che quando uscirono i primi due dischi mi piacquero assai, oggi purtroppo mi risultano abbastanza tediosi, quindi non mi straccio le vesti per essermeli persi. Anche perché fa freddo. Tra il pubblico, Manuel Fiorelli, il Barone, Chris Catena e Pascoletti (come al solito, assalito dai fans che gli dicevano: "ehi Fuzz, ti seguo dai tempi di Metal Shock"; e lui che fa finta di schermirsi ma in realtà si inorgoglisce come un pavone in calore). Bella serata, alla prossima.
|
Rudolf Schenker: chitarra Data: 09/11/2015 Setlist: Encore:
|