Torna questo interessante spettacolo canoro incentrato sulla tradizione canora capitolina firmato da Nicola Piovani, già messo in scena 20 anni fa, in occasione del centenario di Villa Borghese. "Si è detto e scritto che la canzone romana stilisticamente non esiste", riferisce al riguardo il premio Oscar, qui impegnato anche nelle vesti di pianista, "in fondo sarebbe solo un succedaneo della canzone napoletana, e in parte è vero. Ma non estremizziamo, una piccola sua fisionomia distintiva la canzone romana ce l’ha: un certo sentimento di petroliniana rassegnazione, di sulfureo disincanto, che si traduce in vago e scanzonato andamento ritmico; che non è certo la leggera tarantella partenopea, profumata di erbe marine e forni a legna, ma un cugino saltarello dai piedi pesanti, adatto ai sampietrini e odoroso di incenso e di pajata". In questa poetica e suggestiva descrizione è racchiuso il senso di questo spettacolo, non soltanto canoro, ma anche descrittivo, per via di testi interessanti firmati da Pietro Piovani, e pure vagamente teatrale, grazie a siparietti a vocazione prevalentemente ilare. I primi rappresentano la conditio sine qua non per comprendere la genesi del brano di turno, per capirne la natura, spesso sentimentale, talvolta sferzante, malcelatamente protesa a farsi beffe del potere costituito, come se un novello Pasquino si desse al canto per sferrare i suoi incisivi attacchi verbali. In tal senso, l'apporto testuale risulta fondamentale per ricercare a apprezzare le origini di una certa genuina, verace saggezza popolare, spesso interessante anche l'alveo etimologico-espressivo (valga, al riguardo, l'esemplare esegesi afferente alla ricorrenza della parola "morte" in svariati detti ed imprecazioni popolari). I secondi - inscenati dalla coppia Ingrosso/Wertmuller - costituiscono gradevolissimo corollario di stampo comico, nel quale il primo dei due ha modo di esprimere - oltre a quelle canore, invero insospettabili - anche le sue doti attoriali, talvolta addirittura giullaresche, il secondo mette in gioco le sue evidenti abilità di cantante dal chiaro retaggio lirico, abbracciando non di rado la forma caricaturale, previa gustosissima (e coraggiosa) accentuazione di vocalizzi e gorgheggi. tracklist (non necessariamente in quest'ordine): Semo o nun semo San Giovanni L’eco der core Barcarolo romano Na serenata a Ponte Affaccete Nunziata Nina si voi dormite Canzone a Nina Faccetta Nera Tanto pe’ cantà Lulù Serenata sincera, Roma forestiera Com’è bello fa’ l’amore quando è sera La presente recensione si riferisce alla rappresentazione del 12 marzo 2024. |
Semo o nun semo Con
Chitarra Nando Di Modugno Torna ad appassionarci con il suo tocco sapiente il grande Maestro Nicola Piovani, che dà vita ad uno spettacolo musicale ricco di stornelli, serenate e saltarelli tipici della tradizione romana. Un viaggio nel passato di ogni romano, e in quello del regista in particolare, che, per lo spettacolo, ha deciso di musicare alcune canzoni che sua zia Pina – attrice e cantante nel gruppo di Romolo Balzani –gli cantava quando era bambino. “Le canzoni romane sono la colonna sonora domestica della mia infanzia – racconta Piovani –: le cantava mia madre mentre si sfiancava nei lavori di casa. Da grande ho voluto studiarle per capirle di più: si ama davvero solo ciò che si conosce bene. Poi, in occasione dei festeggiamenti per il centenario di Villa Borghese si è presentata l’occasione”. E prosegue: “Si è detto e scritto che la canzone romana stilisticamente non esiste, in fondo sarebbe solo un succedaneo della canzone napoletana, e in parte è vero. Ma non estremizziamo, una piccola sua fisionomia distintiva la canzone romana ce l’ha: un certo sentimento di petroliniana rassegnazione, di sulfureo disincanto, che si traduce in vago e scanzonato andamento ritmico; che non è certo la leggera tarantella partenopea, profumata di erbe marine e forni a legna, ma un cugino saltarello dai piedi pesanti, adatto ai sampietrini e odoroso di incenso e di pajata.” (fonte: comunicato stampa) Teatro Olimpico
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