Non ci piace parlare di quest'opera teatrale richiamando il significato del termine "inclusività", che è una cosa che fanno un po' tutti nei comunicati stampa, nelle anticipazioni, nelle recensioni: opereremmo certamente nell'alveo del politicamente corretto ma rischieremmo di trasmettere un concetto importante in termini fin troppo asettici, sacrificando emozioni ed empatie che, invece, riteniamo prioritare su tutto. Cosa descrive, cosa comunica "Tutti Parlano di Jamie"? Prima di tutto è una storia vera (documentata da un filmato della BBC di media durata intitolato "Jamie: Drag Queen at 16"). Dal 2017 è anche un musical, in scena dapprima a Londra, poi in tutto il Regno Unito, poi ancora a Tokyo, Seul, Los Angeles, Sydney. Infine, è anche un film distribuito da 20th Century Fox, attualmente disponibile in streaming su Amazon Prime Video. Per rispondere alla domanda iniziale, più che essere un musical sul mondo gay o su quello delle drag queen, è un manifesto dedicato all'affermazione del proprio essere e alla incapacità della società di accettare le persone per quello che sono, specie se quello che sono non è condiviso o accettato o compreso a fondo. Facciamo un esempio e scendiamo dal palco, per farlo, andando in sala, tra il pubblico, la sera della prima: impossibile non notare le drag queen che, da semplici spettatrici, sono intervenute numerose. Tra queste, una era in possesso di una barba piuttosto vistosa. Che senso ha, si sono chiesti alcuni dei presenti, esteriorizzare una certa femminilità, talvolta anche sublimandola nelle forme, nella postura, nei colori, per poi dissacrarla ostentando stilemi estetici prettamente maschili? Orbene, non c'è altra idonea risposta, a questa domanda, e ad altre analoghe, se non quella che riporta, serenamente e consapevolmente, alla sana accettazione degli individui che compongono la nostra società per come amano sentirsi e manifestarsi. Per cui, piuttosto che domandarci come mai qualcunƏ avesse giocato sul contrasto tra suadenza femminile e virilità maschile, o perché alcune donne indossassero abiti succinti, incedendo in maniera altamente seducente, o ancora cosa volessero dimostrare certi uomini, propensi a manifestare potenzialità da maschio alfa, magari dovremmo criticare il fatto che alcuni di costoro cedessero alla tentazione di togliere la mascherina per appagare appieno il desiderio di ostentare se stessi in un determinato modo (causando l’immediato intervento del severissimo personale del Brancaccio). Ecco, Jamie è questo tipo di manifesto, che educa ad accettare quello che è lecito, non importa se culturalmente inusuale (le persone per come appaiono), e a respingere ciò che è ingiusto, anche se non eclatante (in questo caso, l'assenza di mascherina). Tutto il resto è pura chiacchiera. Due parole veloci su aspetti tecnici: tralasciando la scenografia (che avremmo gradito un tantino più colorata e vistosa), l'efficacia di questa rappresentazione, a modesto parere di chi scrive, sta nel perfetto bilanciamento tra dialoghi e musiche (composte da Dan Gillespie Sells, già noto nell'ambiente LGBT+ londinese in quanto autore della colonna sonora di Beautiful People), dualismo che rende l'opera un perfetto incrocio tra musical in senso stretto e pièce teatrale, un connubio, quest’ultimo, che è difficile da raggiungere, prevalendo spesso le sonorità rispetto ai dialoghi. Si aggiunga che, in tale dicotomia artistica, si incastrano mirabilmente sprazzi di danza moderna che tradiscono, da parte di alcuni ballerini di sesso maschile, retaggi atletici di formazione chiaramente ginnica (se non ci siamo errati, si tratta di Robert Ediogu e Giovanni Ernani Di Tizio). Infine, ci è piaciuta la capacità della regia, sia di saper collocare le parole “frocio”, “frociaggine”, “ricchione”, “gay” nel giusto contesto, uscendo dallo stereotipo becero, sia di saper ironizzare intelligentemente su certe goffagini dell’unica drag queen più corpulenta di tutto il cast attoriale (l'efficace e divertente Michele Savoia), spingendo il pubblico alla risata scevra da connotazioni mortificatrici. Per i meno convinti, basti dire che, presente in sala, c'era Jamie, quello vero, l'originale, il protagonista dell'esperienza di vita (Jamie Campbell). Costui, per la prima volta al cospetto del "suo" musical in una lingua diversa dalla propria, era a dir poco raggiante, sintomo di assoluto gradimento e appagamento. Se non è un sigillo di garanzia questo! Questa recensione si riferisce alla rappresentazione dell'11 marzo 2022. |
TUTTI PARLANO DI JAMIE - il musical
Teatro Brancaccio |