La primavera del piccolo popolo, del polistrumentista, e non solo, Arthuan Rebis (soprannome del toscano Alessandro Arturo Cucurnia), è un viaggio sonoro concepito in tempo di lockdown. Per l'autore, da sempre attento all'aspetto "mistico" della vita, è stato facile e naturale il passaggio dagli studi di esoterismo e delle tecniche di concetrazione e rilassamento verso una ricerca di "musica del corpo" e parte essenziale di ogni essere vivente, dove le trame sonore diventano terapia contro il malessere del vivere moderno. La forma che usa è la musica folk e celtica, forse oggi un po' demodè rispetto ai fasti di Enya e compagnia bella, ma suonata e curata fin nei minimi particolari a formare composizioni "sospese", dove mito, fiaba, atmosfere medioevali e new age si intersecano a formare un suono etereo, evocativo e sognante. In questo disco si aggiunge poi la voce narrante di Paolo Tofani che completa l'esperienza uditiva insinuando trame che facilitano e guidano l'immaginazione. Dominatrice in assoluto sin dal primo brano, "Aurore invisibili", è l'arpa celtica, che ricorda tanto l'amico Zitello. Il brano è la degna apertura del racconto, simbolicamente visto come la nascita del giorno che si ripete ineluttabilmente. Brano strumentale e rarefatto, riesce ad abbattere le mura che ci opprimono e chiudono dall'essenza della Natura. Suggestivo anche il successivo brano che dà il titolo all'album che leggo come una metafora: il "piccolo popolo" (l'uomo) che coltiva la speranza di una rinascita (la primavera) attraverso la ricerca incessante ed ineluttabie dell'armonia dello spirito. Un invidiabile livello di esistenza dove tutto ha senso, dove tutto ha equilibrio, dove chi non c'è più è comunqe presente nei ricordi di chi rimane (“Venti di impermanenza”). Le successive “Danza di Alidoro e specchi di rugiada”, “Dal crepuscolo in volo” e “Luna velata” scorrono poi riproponendo lo stesso tema introspettivo, di vita e morte e poi rinascita. E sulla stessa linea sono anche le conclusive “Un’altra Primavera”, grazioso brano strumentale di passaggio e “Le fate del crepuscolo” che sfrutta l'andamento ipnotico per richiamare l'idea della quiete magica di un tramonto, del momento di riposo che sta arrivando prima di una nuova alba. Tutto si ripete, tutto si completa. Concludo qui. Ho cercato di recensire le sensazioni che questa musica mi ha dato più che analizzare tecnicismi, generi di appartenenza o complicati ragionamenti pentagrammatici... nel 2020 questa musica non va ascoltata perché "pompata" nelle radio ma necessita di un livello di ascolto diverso, più vissuto direttamente, cosa che nel mio piccolo ho provato a fare. E credo, sinceramente, che ciò sia il desiderio e l'obiettivo principale dell'artista. Con me lo ha raggiunto. |
Arthuan Rebis: arpa celtica, nyckelharpa, hulusi, esraj, voce, tamburo a cornice, percussioni, chitarra classica, synth, mix, mastering, grafica Anno: 2020
|