Ultimo romanzo di Dostoevskij, “I fratelli Karamazov“ segna il vertice della produzione dell’autore russo. Romanzo ottocentesco dall’impronta filosofico-esistenzialista ambientato durante l’impero russo affronta i temi etici che da sempre attanagliano l’uomo: l’esistenza o meno di un essere superiore divino, la possibilità di libero arbitrio, la comprensione del concetto di “moralità” ..., in parole povere affronta la lotta bipolare tra Fede e Ragione.
Lo fa attraverso la descrizione delle vicende di una famiglia (i Karamazov appunto) vissute in un mondo che sta andando verso la modernità incarnandone tutte le potenzialità e allo stesso tempo le inevitabili contraddizioni e drammi. Un mondo che inizia a porre l’uomo di fronte a sé stesso, lo porta ad interrogarsi sugli obiettivi, a dotarsi di scopi, a creare ambizioni, a sopportare ansie. Una storia toccante e “moderna” come questa è stata più volte spunto di rappresentazione teatrale e televisiva. Lo stesso Umberto Orsini, con questo spettacolo, affronta il romanzo per la terza volta, offrendo un testo a dir poco sorprendente. Ne “Le memorie di Ivan Karamazov” interpreta un Ivan oramai anziano che finalmente prende coscienza delle proprie convinzioni e dei propri gesti, che portarono alla morte del padre, ed alle loro conseguenze. Una spietata analisi, un percorso archeologico nella propria mente e nei propri ricordi, una disintegrazione dei muri a cui è stato appesa per anni la sua anima. Una rianalisi degli alibi e delle prove vere e architettate ad hoc per sfuggire alla realtà fino alla presa di coscienza finale, straziante e commovente, che forse riuscirà a liberarlo dai propri fantasmi. La soluzione scenografica è una diroccata aula di un fantomatico tribunale, vestigia del vero tribunale che anni prima era stato protagonista del processo di parricidio per la famiglia Karamazov, completamente vuoto. Unico personaggio in scena è Ivan che immagina il proprio processo (o meglio la propria autoanalisi): non c’è giudice perché Ivan è giudice di sé stesso, non c’è giuria perché il pubblico è la sua giuria. In una scena scarna al punto giusto, illuminata da sapienti fasci di luce e vivacizzata da nevicate di fogli bianchi, metafora degli atti del vecchio processo, Ivan affronta il proprio “giallo” intimo in prima persona, recuperando i propri ricordi in un’autoanalisi degna del miglior Freud (che peraltro studiò a lungo la questione del parricidio proprio sul testo di Dostoevskij). A poco a poco nasce in lui la convinzione di essere colpevole come il fratello parricida in quanto mandante “morale” in quanto le proprie idee anticonformiste hanno contribuito a giustificare il gesto. Idee come il mettere in dubbio la bontà dell’uomo - “Non esiste una legge naturale per cui l’uomo deve amare i propri simili” - del suo libero arbitrio e del concetto di libero arbitrio – “La libertà di pensiero può essere data a tutti?”. A tal proposito bellissima la parabole dell’inquisitore che davanti ad un Cristo di nuovo risorto stigmatizza la necessità dell’uomo ad avere i miracoli che lo salvino oggi piuttosto che un mistero della fede in un mondo che verrà: uomo che per questo diventa gregge accettando con gioia la necessaria autorità che decida per lui e gli dica cosa fare.
Molto interessanti anche le soluzioni adottate per amplificare il dramma del confronto con sé stesso: la voce fuori campo dello stesso attore, vero e proprio “diavoletto custode” e cattiva coscienza lungo tutto lo spettacolo, lo specchio che duplica l’immagine offrendo a Ivan finalmente un sosia con cui parlare (in una specie di accondiscendente contraddittorio) e l’infernale macchina-registratore dove sono raccolte le parole del passato ma che diventa ben presto la meccanica “coscienza” di Ivan. Il colpevole era stato individuato ma mancava il mandante, ed ora si conosce. Così Ivan ha finalmente trovato il “finale” che Dostoevskij gli aveva negato: si sente l’Inquisitore, l’artefice di un modo di pensare nuovo che si fa avanti, che mette in dubbio passate convinzioni, proiettando l’uomo verso un futuro di libertà che di pari passo porta alle inevitabili sofferenza di una consapevolezza delle proprie responsabilità. Si sente colpevole ma necessario concludendo la propria analisi con la significativa citazione finale, da Nathalie Sarraute, “La vera vita degli uomini e delle cose comincia soltanto dopo la loro scomparsa”.
Bellissimo spettacolo con teatro esaurito ed un pubblico che ha dimostrato la propria approvazione con scroscianti applausi liberatori dopo 75 minuti di assoluta attenzione, concentrazione e compartecipazione.
Questa recensione si riferisce alla rappresentazione del 4 ottobre 2022.
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Le memorie di Ivan Karamazov dal 4/10/2022 al 16/10/2022
PRIMA NAZIONALE dal romanzo I fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij drammaturgia Umberto Orsini e Luca Micheletti
regia Luca Micheletti
con Umberto Orsini
scene Giacomo Andrico costumi Daniele Gelsi suono Alessandro Saviozzi luci Carlo Pediani assistente alla regia Francesco Martucci
produzione Compagnia Umberto Orsini
Piccolo Teatro Grassi via Rovello, 2 - MILANO tel: 02 21126116
ORARIO SPETTACOLI martedì 4 ore 19.30 mercoledì 5 ore 20.30 giovedì 6 ore 19.30 venerdì 7 ore 20.30 sabato 8 ore 19.30 domenica 9 ore 16.00 martedì 11 ore 19.30 mercoledì 12 ore 20.30 giovedì 13 ore 19.30 venerdì 14 ore 20.30 sabato 15 ore 19.30 domenica 16 ore 16.00
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