Solida band progressive toscana che richiama le radici degli anni '70 ma soprattutto il neo prog degli anni 80: Pendragon e Porcupine Tree tra tutti.
Dopo l'album di esordio ed un avvincente periodo di concerti live e di contest vinti, dallo scorso anno fanno parte della storica etichetta progressive Lizard ed hanno dato alla luce questo album, un concept ispirato dalla poesia "Il custode di dolori" di Federico Vittori che parla di depressioni e nuove illusioni senza lieto fine, parla di ritrovata tranquillità ottenuta al prezzo di una omologazione e della perdita dei propri sogni. Questa dicotomia tra depressione e rinascita, diversità ed omologazione è benissimo rappresenata dall'impianto sonoro dell'album in cui i brani cupi od ossessivi si contrappongono ai brani più lievi ed eterei ... una musica che rappresenta il sogno contro una musica che rappresenta la dura realtà. Una musica ben suonata, raffinata, a volte complessa nella composizione secondo i classici canoni del prog, con ritmica quadrata e sostenuta da basso e barreria ed una chitarra che sembra uscita direttamente dalla mente di Steve Wilson. Assoli puliti, forse con l'unica pecca di dare un certo qual senso di retrò, di "già sentito". E delle tastiere che, quanto a scelta timbrica e gusto, si sente che hanno origine da giornate di ascolto del Banco del Mutuo Soccorso. I brani che più mi hanno colpito sono la title track e "Joseph" per la loro durata che gli da la possibilità di sperimentare e ricercare soluzioni non banali, e perché più vicine al mio gusto attuale con la loro vena prog metal. Ma merita una citazione anche "NREM" a cui è stato dato l'incarico stimolare l'impressione di claustrofobia, di labirintica ricerca di evasione, con lunghi inserti strumentali vorticosi. Per finire un plauso all'art cover, tipica del gusto prog. Un mondo nel mondo, un segno distintivo e caratterizzante, una narrazione nella narrazione. Un bel disco che fa ben sperare in un futuro radioso. |
Nicola Pedreschi: tastiere e voci Anno: 2016 |