Il gran giorno è arrivato. Da tempo Vittorio mi aveva preannunciato la scelta di presentare il nuovo disco del Banco del Mutuo Soccorso a Milano, presso la Sony. Motivi legati all'affetto per alcuni dei momenti storici vissuti a Milano dalla band e per l'importanza che oramai la città ha nel panorama discografico italiano, senza contare la sua apertura al mondo, serio obiettivo (o target, come direbbero a Piazza Affari) di questo progetto. E comunque, ci siamo. La location è al tempo stesso stimolante e raffinata: il secondo piano del palazzo della Sony ha le pareti piene zeppe di immagini, dischi d'oro, manifesti ... una vera e propria passeggiata nella storia della musica italiana. L'agenda prevede l'ascolto integrale del disco e poi una chiacchierata tra giornalisti e Vittorio, il "giovin" chitarrista Filippo Marcheggiani ed il nuovo cantante Tony D'Alessio. Dopo un rapido saluto, mi siedo giusto dietro Cinzia Nocenzi, la sorella di Vittorio che, per un breve periodo, ha suonato con la Band sostituendo Gianni, arrivata apposta da Bologna. Accanto a me, il deus ex machina del fan club, Aldo Pancotti (per tutti WazzaKanazza) e, una fila avanti, ciò che non si può credere: Luzzatto Fegiz che, a 72 anni, ancora possiede lo spirito e la voglia di ascoltare buona musica. Partiamo. L'ascolto del disco è un trionfo di sensazioni. Devo dire di essere partito un po' prevenuto (troppo cari, Rodolfo e Francesco, per non sentire aleggiare la loro presenza, la loro personalità) ma, brano dopo brano, il disco ha assunto una sua dimensione: musica e testi assolutamente di pregio, cosa quasi impossibile nell'odierno panorama musicale dominato dai cosiddetti talent. Tuttavia, per quanto attiene alla recensione del disco, rimando allo specifico articolo a firma congiunta di Gianluca Livi e Roberto Cangioli (recensione multipla che trovate qui).
E ora, via con la conferenza stampa.
Gianluca Renoffio
CONFERENZA STAMPA (trascrizione integrale)
Guido Bellachioma: Sono molto contento di essere a Milano che è una città che amo moltissimo. Ci ho studiato in passato quando ero alla Università ed ogni volta che ci ritorno la trovo sempre più bella. Una città che esprime molto il proprio legame con l'arte, cosa per cui era giusto presentare qui il banco del mutuo soccorso, nonostante la band sia nata nel Lazio. Perché ci sono io a moderare? perché sono molto legato al Banco, la prima volta che li ho visti dal vivo è stato a villa Pamphili nel 1972, avevo 17 anni, e sono rimasto innamorato di questo gruppo che era assolutamente Italiano a differenza di tanti altri gruppi anch'essi straordinari per il progressive italiano ma che erano legati più alla matrice anglofona che a quella italiana… per questa mi è rimasto sempre nel cuore. Inoltre, perché sono amico di Vittorio e sono stato amico anche di Francesco Di Giacomo ... è inutile, Francesco deve essere presente anche oggi parlandone non come un santino da mostrare ma perché è un compagno di viaggio, anche lui su quel treno chiamato Transiberiana che è la nostra vita e che continuerà ad andare avanti. Oltretutto, come responsabile della rivista PROG Italia, ho stampato e distribuito il disco di Francesco Di Giacomo, "La Parte Mancante", che è stato un grande successo. Ci ha colpiti, per cui siamo sicuri che questa fame di musica diversa porterà tanta fortuna anche a "Transiberiana" del Banco del Mutuo Soccorso che, secondo me, è un grande disco. Non a caso abbiamo fatto la copertina del mese scorso di PROG Italia proprio dedicandola al Banco come gruppo, non a Vittorio Nocenzi, perché, questo bisogna sottolinearlo,sentendo il disco si capisce che siamo di fronte ad un gruppo vero e proprio, che nasce da musicisti che sono fortemente motivati, che amano questa musica, che hanno contribuito a crearla, assieme a Vittorio, a Michelangelo e a tutti gli altri. Non a caso (mi permetto di rubare altri 2 secondi), i musicisti provengono da questo “territorio musicale”. Non sono dei session man presi a caso: Fabio Moresco è stato anche batterista dei Metamorfosi, uno dei grandi gruppi del progressive italiano degli anni '70, Marco Capizzi ha lavorato con il Balletto di Bronzo, come anche Nicola Di Già, Filippo Marcheggiani, oltre ad essere da tanti anni il chitarrista del Banco, insieme a Tony D'alessio era una colonna degli Scenario che, per chi conosce questo genere, era un gruppo metal prog degli anni '90 che ha fatto un disco per Musea. Quindi è proprio giusto che questa sia la nuova formazione del BMS, perché hanno tanto cuore, perché su questo disco ci hanno messo tutte le loro emozioni ed infine perché credo che riuscire a fare nel 2019 un album concept credibile sia un grande atto d'amore. Quindi è dedicato a tutti noi.
Vittorio Nocenzi: Bene, che volete che vi racconti? Posso parlare del gradimento della cromaticità di questi divani giallorossi... (risate).
Mario Luzzatto Fegiz: Sono rimasto folgorato da questo disco. Ho una collezione di dischi prog, numerosa anche, ma trovo difficile spiegare ai giovani cosa sia il progressive italiano- Ma qui c'è è una fiera del progressive, si sentono gli influssi che ha avuto e caratterizzato questa musica, come ad esempio un po' di Area... Come siete riusciti a ottenere (e contenere) questa integrità sonora senza cadere nel manierismo?
Vittorio: Hai centrato immediatamente il punto. Il primo nostro obiettivo è stato quello di non fare il verso a noi stessi perché il prog nasce proprio per allergia al luogo comune, alla banalità, ai cliché, al déjà-vu. Quindi se correvamo un pericolo, era quello di fare il verso ad uno dei padri fondatori di questo genere almeno in Italia, cioè a noi stessi. Quindi ci siamo sentiti in obbligo di focalizzare una cosa, di dare un primo paletto fondamentale, il totem, il riferimento di questo lavoro: quello che il disco doveva essere "vero". Non doveva essere un disco "alla moda di", e con questa cosa apparentemente banale intendo una cosa profonda; il disco doveva essere ispirato, credibile, doveva raccontare chi siamo realmente e come la pensiamo. Ecco, oggi vorrei raccontarvi come la pensiamo veramente nei confronti della vita in genere, non per l'interesse dei cronisti, ma come riflessione che è un tutt'uno con la musica che avete ascoltato. Io credo personalmente che il lavoro di un artista debba sempre offrire una visione ed una tensione etica. Se così è, qualunque arte uno frequenti, questa uscirò meglio.
Mario Luzzatto Fegiz: direi quasi un'arte teleologica ...
Vittorio: Teleologica ... mmh, direi meglio teoetica, perché sennò si può prestare ad altre interpretazioni. Voglio dire che (perché la tua domanda sottintende anche un altro paletto centrale del nostro lavoro) ci siamo domandati che significato aveva che il Banco del Mutuo Soccorso nel 2018 facesse un nuovo album concept. Ce lo siamo domandati veramente...
Filippo Marchegiani: ...siamo partiti da lì, è stato l'inizio di tutto...
Vittorio: ...anche con molta onestà, con molta tranquilla autocritica. Il significato stava in quello che vediamo tutti, credo, e che è davanti ai nostri occhi: non è vero che la gente accetta passivamente questa globalizzazione spenta, cinica, vuota, autodistruttiva. L'essere umano è prima di tutto spirito, e lo dico da laico. Noi mangiamo, abbiamo bisogno di denaro per vivere meglio possibile… ma la vita non si può ridurre tutta quanta a "soldi". Non è vero, è una falsità. E questa paccottiglia di falsi riferimenti ce l'abbiamo davanti gli occhi tutti. E' ora che la piantiamo di vedere la vita come se fosse un film, questo è il degrado del vivere contemporaneo… Allora, il significato più vero del nostro tornare a fare un disco di musica è stato quello di provare a dare una risposta a quanti la pensano come noi. Appartengo ad una generazione per la quale la musica era un veicolo importante di riflessioni, di idee, di considerazioni… ed allora il senso profondo poteva essere proprio questo: tornare a scrivere delle cose con coerenza rispetto alla generazione alla quale apparteniamo. Quindi, cosa c'è di più bello se non un album concept che in quanto tale offre la possibilità di una narrazione ampia? Sapevo che l'idea mi avrebbe stimolato, ispirato, mi avrebbe fatto tornare la voglia di scrivere musica rispetto ad una compilation di canzoni staccate ognuna dall'altra.Un racconto più ampio, una narrazione che ti permette di vedere orizzonti e utopie, o quello che vuoi tu, e ti dà la possibilità di raccontare la vita, Questo era quello che mi stimolava di più. Poi l'idea della Siberia, una terra che sta ai limiti del mondo vivibile da un essere umano, un posto nel nord, ad oriente, dove si vive a -71 gradi di giorno, una cosa inconcepibile per noi. Un estremismo nel vivere che ci offriva un'altra metafora, ci per2meteva di rappresentare quello che secondo noi è l'estremismo che stiamo vivendo in questi giorni, giorni senza ideali, senza valori di riferimento, senza una scala di valori. Ci sono soltanto i soldi: “hai i soldi? Allora hai capito tutto”. “Non hai i soldi? Non capisci niente”. Non è vero. Non è così, non è così. Allora ecco che scrivere certi testi con Paolo Logli, fare un racconto come “Transiberiana” che fosse, contemporaneamente,una metafora ed anche autobiografico ha dato un ulteriore senso a quello che potevamo scrivere. Autobiografico perchévisto l’età (tranne Filippo Marcheggiani che era il "ragazzo" del Banco, il giovane chitarrista) avevamo tanto ancora da direin questa fase della carriera. Ed il racconto simbolico del viaggio ha reso il tutto molto bello e stimolante. Sono state molte, da questo punto di vista, le sensazioni. Vi confesso che la letteratura che mi piace di più è quella dei libri di viaggio: li leggo sempre con molto piacere perché ti fanno scoprire le “aspettative”, ti fanno leggere le sorprese, le meraviglie ... e quindi l'idea di fare un disco che fosse un disco di viaggio, come un libro di viaggio, era affascinante ... e siamo partiti. Ma la cosa più importante era quel concetto di verità che ho citato prima e che ci ha fatto mettere dei paletti centrali. Un altro di questi è stato questo: “ragazzi, un tempo dispari non fa rock progressivo, una rondine non fa primavera”. Come dico sempre a chi mi domanda cosa penso del prog io dico che per fare un disco prog non devi fare il verso al prog, altrimenti diventa una cosa grottesca, incoerente. IL prog è una musica che nasce come anarchica degli schemi che prevedevano che a 60 secondi entrasse il chorus, che ci fossero due strofe, un breve bridge subito dopo, poi una terza strofa e di nuovo il chorus ed il phase-out finale, in modo che il refrain fosse garantito. E’ nato proprio per dire “no!”. Un brano può durare 18 secondi o 19 minuti ... e così facemmo il nostro primo disco, il “Salvadanaio”, dove c'era “Passaggio” che durava una manciata di secondi ed “Il Giardino del Mago” che durava 19 minuti. E poi il ritorno dei temi musicali, per testimoniare un po' quella che era la musica classica di riferimento della nostra generazione e cioè la musica sinfonica dell'800. Lo avevano fatto solo i Beatles in “St. Pepper”, che secondo me potrebbe essere considerato un proto-prog. Poi un tempo dispari sta bene, ma non per fare il verso a qualcosa, ci sta bene soltanto se quel 7/8 o quel 5/4 che hai scelto servono per far suonare meglio quella parte di chitarra o quella parte di pianoforte o basso ... se suonano meglio, allora quel tempo dispari è benvenuto, sennò è un atteggiamento falso, è un fare il verso, è un cliché, diventa ridicolo. Oppure parlare dei massimi sistemi, del momento apollineo, del momento dionisiaco ... se hai fatto la seconda elementare non devi parlare di queste cose: prima devi studiare, conoscere e poi parlarne opportunamente.A un certo punto c'è stato un periodo in cui album progressive venivano scritti da bravissime persone che però avevano letto un libro e mezzo, e parlavano dei massimi sistemi del mondo. Questo non è progressive, è un'altra caricatura. Ecco, se parliamo e ragioniamo in questa maniera allora andiamo a creare i presupposti per fare un disco vero. Poi il disco può piacere o non piacere, ma il fatto che sia vero per il Banco era importante. Un'altra considerazione che ha garantito un percorso di creatività era quella di essere coerenti, ma non per dimostrare niente a nessuno (penso che dopo 50 anni di lavoro non si debba dimostrare più nulla), ma per una necessità di andare contro corrente, anche oggi, come abbiamo fatto tutta la vita. Non ci rispecchiamo nelle "modalità della vita contemporanea" perché abbiamo una forbice che va dai fanatici integralisti agli ignoranti presuntuosi: sono due abomini. E lo stiamo vivendo tutti i giorni. Oggi impazza il fanatico presuntuoso,che è quello che non sa di non sapere e quindi spara delle cose a caso. E si fa forte di quella macchina meravigliosa che con i nickname rende possibile aprire tavoli internet dove si parla dei vaccini e da una parte c'è l'idraulico di casa mia, con tutto il rispetto per l'idraulico, e dall'altra c'è l'epidemiologo specializzato in biologia ... e l'idraulico è autorizzato assolutamente a dire la sua, anzi, a dire: “guarda che tu non ci capisci niente, te lo dico io se i vaccini fanno bene o fanno male”. E contemporaneamente i prodotti culturali vengono considerati degli inciampi, delle pesantezze, lontane dalla leggerezza. La cultura, la conoscenza (non le parrucche) è lavorare seriamente per sapere qualcosa di più. Pare non vada tanto di moda. Ed allora ecco perché abbiamo fatto l'ultimo brano inedito prima di Transiberiana, nella legacy edition di “Io Sono Nato Libero” del '73. La storia della “Transiberiana” nasce da là. Il brano inedito parla della libertà e si chiama "La libertà difficile". Difficile perché è quella libertà basata sulla conoscenza e perché la conoscenza è una cosa impegnativa, richiede lavoro, richiede scelta, richiede esposizione in prima persona, spendere il tuo sapere al servizio di un progetto, possibilmente condiviso, quindi allargato. Senza conoscenza siamo delle marionette alle quali tirano i fili quotidianamente… tirandoci per la giacca, per cercare di conquistare il nostro consenso ... questa non è libertà. Dalla Libertà (conoscenza) difficile scritta sempre con Paolo Logli e Michelangelo Nocenzi, siamo arrivata alla “Transiberiana” perché il Banco, questa idea che non puoi fermare, come abbiamo chiamato il nostro ultimo album, è una scelta di vita, fin da quando scrissi nel '72 "prova, prova a pensare un po' diverso". E non si esaurisce nelle cantate sopra un palco, da rockstar: cantare intonato, interpretare bene, suonare con energia, con sincro ... questo è solo l'inizio. Se tu canti una frase del genere, "prova a pensare un po’ diverso", poi ti devi confrontare con te stesso. Non puoi cantare una affermazione del genere e poi essere conformista, borghese, reazionario ... non funziona. Quindi il nostro pubblico, in questi 50 anni di carriera, ha avuto questa cosa meravigliosa ma allo stesso tempo impegnativa assai, che è la coerenza: ha avuto nei nostri dischi un riferimento molto forte dal punto di vista esistenziale. In tanti anni mi è capitato di incontrare centinaia di persone che avevano scelto di vivere una vita in un certo modo perché avevano sentito i nostri dischi. Non vi sembri superficiale questa cosa, è stata una stagione in cui la musica faceva anche di questi miracoli, ed ascoltare certi artisti significava fare certe scelte di vita.E quindi sceglievi quella facoltà all'Università invece dell'altra e così via. Mi sono trovato sulla coscienza un sacco di insegnanti per i conservatori italiani o direttori dei conservatori per cui mi sento di avere tante colpe (risate). Però, ecco, il pubblico del Banco è questo tipo di gente, e quindi fare un nuovo disco, un album concept, non poteva non essere una cosa consapevole, fatta ad occhi aperti, pronta a fare i conti con delle aspettative e ad essere coerente con la nostra storia. E per i musicisti che si sono affiancati a me per realizzare questo disco è stata una scelta ad occhi aperti, lucida. Toni D'Alessio ha scelto lucidamente di essere parte di questo progetto, sapeva sicuramente che ogni volta che sarebbe salito sopra un palco avrebbe subito ancora per tanto tempo il continuo confronto con chi l'ha preceduto nello stesso ruolo. Quindi sì, ci vuole coraggio, capacità, passione ed una bella combinazione anche di follia ed incoscienza (risate).
Giornalista: Mi rendo conto che è una domanda banale, ma va fatta. 50 anni di carriera, di cui 25 senza incidere un intero album di inediti. 25 anni sono una vita intera, sono tutta la carriera di Totti. Hai mai riflettuto, nello scorrere di questi 25 anni, che forse questo album poteva essere fatto anche con qualche anno di anticipo e di conseguenza essere cantato da un'altra voce?
Vittorio: Certo che sì, ma se non è accaduto ci sono dei motivi. Per prima cosa la musica come ogni arte, secondo me, nasce direttamente dai tempi che vivi. C'è il contesto umano che ti fa scrivere un brano o una poesia, che ti fa scrivere un libro, che ti fa girare un film. Per cui quello che ha ispirato “Transiberiana” è il vivere contemporaneo. Quello che non ha ispirato il Banco prima di creare “Transiberiana”, o che non ci ha fatto scrivere qualche altra cosa, è il senso di quello che facevamo: evidentemente, non avevamo maturato tutta una serie di considerazioni che invece sono state scatenanti per questo lavoro, quelle che vi ho raccontato finora. Poi abbiamo capito (e per questo ci siamo affrettati a fare “Transiberiana”, anche se dire affrettati è un eufemismo -risate) di aver sbagliato ad aver dato troppo spazio e tempo alla attività concertistica a discapito di quella della composizione e della registrazione. Ed è per questo motivo che non vedo l'ora di registrare il prossimo disco ed ecco perché dobbiamo metter un bilanciamento adeguato al bilancio dei pagamenti della "repubblica BMS". Perché non prima? Perché ci vuole ispirazione. Ci siamo sempre rifiutati di registrare dei dischi se non sentivamo il piacere ed il bisogno di farlo. Se lo avessi fatto solo “perché è il mio lavoro” avrebbe significato fare solo una produzione, una cosa proto-industriale che avrebbe fatto a pugni con il nostro (mio) modo di fare la musica. Ci voleva questa ispirazione che forse deriva anche dal dolore che abbiamo vissuto per la perdita di due compagni di viaggio così cari a tutti noi. Siamo convinti (io, perlomeno, ne sono assolutamente convinto), che stanno con noi sulla “Transiberiana”, con il naso schiacciato sui vetri a guardare fuori. Poi debbo raccontarvi un aneddoto emblematico. I due chitarristi dell'attuale formazione del Banco, Filippo Marcheggiani, che ha preso direttamente l'eredità da Rodolfo Maltese, e Nicola Di Già, hanno un amore per la memoria di Rodolfo particolare. Nicola, quando è entrato nel banco, mi ha raccontato che suo padre gli aveva sempre fatto una “testa tanta” con Rodolfo e il Banco … che quasi ci odiava. Ma poi, entrato nel nostro giro, andò nella casa di Rudy a chiedergli come aveva creato il suo modo di suonare la chitarra acustica, quella sua leggerezza del polso nel portare il ritmo, e quando oggi lo sento suonare, gli sento la mano di Rodolfo. E quante volte Filippo mi ha detto: “in questo assolo, mi sono ispirato completamente alla sensibilità ed al fraseggio di Rodolfo”. Questi due ragazzi sono arrivati al punto di andare dalla moglie di Rodolfo per farsi prestare le sue chitarre.
Filippo: Si, abbiamo deciso di registrare con le chitarre acustiche di Rodolfo, soprattutto la bellissima Maton che Ines mi ha regalato poco dopo che Rodolfo è scomparso e che è la chitarra a cui tengo di più. E’ una chitarra "posseduta". Io, quando la suono mi rendo conto che non sono le mie dita a suonare. E' veramente incredibile, ma veramente.
Guido Bellachioma: Scusa Filippo. Rodolfo, quella chitarra, che è australiana, la comprò direttamente quando lo portai a suonar assieme a Tommy Emmanuel, che è uno dei grandi chitarristi acustici. Rudy mi disse “Guido, posso suonare un po’ di pezzi da Tommy?”. Io combinai e Rudy è venuto come la persona più semplice del mondo. Si sono messi al bar, hanno provato, e Rudy chiese a Tommy “mi presti questa Maton?”. Ha quindi cominciato a suonare e ha detto “OK, la compro”. E' andato dall'importatore che era venuto alla serata e si è comprato la chitarra.
Filippo: Non sapevo questa cosa della mia Maton, bellissimo. Rodolfo, con cui ho avuto la fortuna di condividere per 25 anni "il palco"...
Vittorio: ...sei sempre stato il piccolo, il bambino del Banco, "Er Crema", come ti aveva soprannominato Francesco...
Filippo: ...è stata per me una presenza costante. Nel mio suonare, ho sempre cercato di pensare a come Rodolfo avrebbe sviluppato le frasi e scelto il suono ... In questo disco mi sono un po' liberato ma Rodolfo è sempre stato una presenza umana, oltre che musicale, nell'ispirazione di questi mesi. Ad esempio, ho sempre avuto nello studio accanto a casa mia, dove abbiamo registrato le chitarre, un disegno fatto da suo figlio Alessandro, che è un bravissimo disegnatore. Un legame ed un ricordo impossibile tralasciare. Il nuovo Banco nasce comunque da ottimi musicisti, che hanno un pedigree raffinato su un certo tipo di musica che sempre e comunque è di qualità, e sono anche persone straordinarie. Il clima è meraviglioso, nonostante le perdite negli anni. Questo nuovo Banco è una vera seconda famiglia.
Vittorio: E' perché ho messo a punto una modalità di selezione formidabile, un metodo infallibile. Stavo selezionando il sesto batterista e prima di entrare nel mio studio a Genzano gli chiesi “ti pace l'amatriciana?”
Mario Luzzatto Fegiz: In effetti, quando mi chiedono come si giudica un disco rispondo: un disco si giudica dal Buffet (risate).
Vittorio: Questa domanda segue una riflessione chiara e precisa: se non ti piace l'amatriciana, se sei per caso Vegano (con tutto il rispetto per i vegani) si presuppone che tu abbia una mentalità integralista, estrema, ed io personalmente non sono mai andato d'accordo con l'integralismo perché è ad un passo dal fanatismo, ed il fanatismo non ha mai costruito ma sempre distrutto. Allora, se non ti piace l'amatriciana, inevitabilmente, nel momento in cui ci troveremo a raggiungere una intimità come solo la musica riesce a dare, in cui manca solo il contatto fisico… nel momento in cui dovremo trovare una intimità ancora più profonda fatta di emozioni, sensazioni, pelle d'oca ... tutte cose che passano necessariamente da una sensibilità interiore ... ecco, il fatto che tu sia vegano, integralista, renderà impossibile andare d'accordo, andremo in conflitto sicuro. Quindi posso trovare qualcuno bravissimo come strumentista ma, senza quel feeling indispensabile per emozionarsi insieme nello scegliere un brano, un arrangiamento, nel registrare una cosa, non potremo arrivare a nulla. Sono i presupposti che creano le conseguenze, sempre, e noi spesso ce lo dimentichiamo. Perché non siamo andati ai mondiali di calcio? Perché era stato fatto un presidente della FIGC sbagliato, un uomo più esperto di “manovre di palazzo” che di calcio, per cui ha scelto Ventura come allenatore della nazionale, sbagliando.
Gianluca Renoffio: Una domanda che non posso non fare. Cosa è cambiato, se è cambiato qualcosa, nel processo creativo della band. Inoltre, quando hai iniziato ad intraprendere questo nuovo viaggio “Transiberiana”, quale è stata la molla? Quanto deriva e scaturisce veramente dai momenti non belli vissuti?
Vittorio: Sicuramente c'è un nesso profondo tra quello che ci è accaduto e la scelta di questo argomento per un album concept. Non potevamo non cogliere la necessità di parlare, fra le tante cose, del viaggio più importante che fa ognuno di noi, che è quello del vivere. Il viaggio più impegnativo, idealmente, spiritualmente, moralmente, fisicamente, materialmente. Vivere, oggi più che mai, è una bella scommessa. Di sicuro il destino è sembrato volersi scagliarsi su questa band, su una intera generazione che sembra al capolinea (non quello di Milano) con accanimento. A febbraio viene a mancare Francesco, a luglio io ho una emorragia cerebrale e vado in coma, in ottobre viene a mancare Rodolfo. È sembrato proprio un accanimento, come se qualcuno avesse deciso che dovevamo sparire. Ma voi sapete quanto sono tignoso, per cui ho detto: “non ci sto, Padreterno, devi aspettare ancora perché ho ancora altra musica da scrivere”. Per cui si, quello che è accaduto ha a che fare con “Transiberiana”, non c'è dubbio, ma in un modo sublimato. Penso che la differenza tra una vita di qualità ed una vita sciupata dalla mediocrità sta proprio nel riuscire a trasformare in positivo quello che ti accade di negativo. E ci sono momenti in cui puoi avere dei dubbi, come nella “Transiberiana”, e poi quando la scampi, beh, ci metti un impegno doppio. “Transiberiana” poi vuole essere due cose: per prima cosa è una risposta doverosa verso il nostro pubblico perché (non lo dico per buonismo o per piacioneria, ma perché lo penso realmente) un artista non dovrebbe mai dimenticare la fortuna che ha nell’essere amato, rispettato, considerato, ammirato. Perché la gente ha tanti di quei problemi nel vivere tutti i giorni che trovare il tempo di dire “che bel disco… ma bravo Vittorio, quanto è bella la musica che scrivi” oppure trovare il tempo di domandarsi “ma chi glielo fa fare” … è un atto d’amore. Quando una persona ti dona quella parte di sé, ridiventa il fanciullino che ciascuno di noi ha dentro (come diceva Pascoli) e ci sta facendo un regalo preziosissimo. Quindi un artista ha il dovere di non perdere mai di vista questo privilegio e deve ricambiarlo. Dovevamo quindi dare al nostro pubblico un'opera nuova, inedita, fatta con la consapevolezza di quello che si stava facendo. Il secondo motivo per cui la “Transiberiana” era necessaria è il fatto che attraverso il lavoro del Banco chi non c'è più continua a vivere nell'affetto delle persone. Questa è la verità della vita, e l'idea che io possa smettere sarebbe come far morire quelle persone, quegli amici una seconda volta. Oggi stiamo parlando ancora di Francesco e di Rodolfo, con affetto, con amicizia, con tenerezza, con rammarico. Ne stiamo parlando perché abbiamo fatto un nuovo disco. E quando ad ogni concerto io presento i membri della band finisco sempre presentando Francesco Di Giacomo, la voce e Rodolfo Maltese, la chitarra. Non può non essere così, non è né retorica, né nient'altro, potete credere quello che volete, è semplicemente raccontare la vita (applauso).
Giornalista: Prima era stato fatto accenno alla responsabilità, al coraggio ed alla follia del cantante D’Alessio nell’accettare di prendere il posto di Di Giacomo. Gli vorrei quindi chiedere: tu arrivi da una radice prog ma hai però fatto anche un passaggio ad X Factor. Cosa ti ha lasciato quell'esperienza? Come sei arrivato a tutto ciò?
Tony D’Alessio: Io nasco Rock, in particolare trash-medioeval prog. La passione per questo tipo di musica c'è sempre stata. Sono del 1970 e da piccolo ascoltavo prog, poi mi sono avvicinato al grande prog con i Genesis e con il Banco del Mutuo Soccorso di “Darwin”. Ed è stato questo che mi ha portato nel Banco. Io mi avvicinai a Francesco ad un concerto nel '96, per abbracciarlo, visto che volevo dimostrargli la mia stima e il mio ringraziamento perché senza questi grandi modelli non ci sarei stato di sicuro. Volevo anche chiedergli consigli. In quella sede, nacque un amore ancora più profondo per la persona Francesco Di Giacomo, persona che avevo intuito ma di cui non avevo prova. Quindi il prog c’è sempre stato. Ho fatto anche parte degli Scenario, che facevano prog-metal nel disco pubblicato nel 2002 da Musea. E poi X Factor, un’esperienza, un gioco molto divertente. Avevo già 43 anni ed è stato un modo per dire “guarda, ci sono anch’io”. Ho voluto andare in televisione cercando di essere sempre me stesso. Mi sono molto divertito delle battute che ho fatto e dalle stupidaggini che ho detto e delle infradito che ho indossato fino alla fine del programma.
Giornalista: Vittorio, per forza di cose hai sentito il disco appena uscito postumo di Francesco. Come lo hai trovato, visto che era una strada separata dalla vostra, da quella del Banco. Ti è dispiaciuto non averci messo le mani, non aver avuto il tempo, all'epoca, per confluire nel progettovista l'amicizia che avevate? Poi un’altra cosa: non è mai tornato il tema di Gianni Nocenzi. C’è speranza di rivederlo nel nuovo Banco?
Vittorio: Io ho avuto il piacere di scrivere e lavorare sul primo album solista di Francesco Di Giacomo, che era “Non metterti le dita nel naso” dove suonò tutta la formazione del Banco del Mutuo Soccorso di allora. Però era il disco, il progetto, di un cantante solista non di una band: la scelta dei brani, gli arrangiamenti, ecc., erano tutti di Francesco e sicuramente diversi da quello che sarebbero stati in un disco del Banco. Quindi, il piacere di aver lavorato con Francesco Di Giacomo come solista l'avevo già avuto. Riguardo a questo disco, ne ero al corrente. Francesco me ne parlava ed eravamo d'accordo che avvenisse così, nel senso che, quando sei dentro una band, hai sempre il bisogno, prima o poi, di fare qualcosa al di fuori. Questo ti rinnova gli schemi, il linguaggio, le considerazioni … Anch'io ho fatto due album da solista, eppure non è che mi manca lo spazio per scrivere musica dentro al Banco del Mutuo Soccorso. Però sperimentare dimensioni diverse è sempre molto attraente per un artista, ed inevitabile. Questo è il significato di questo album di Francesco che non mi ha sorpreso come qualità; ho sempre considerato Francesco un artista ed uno scrittore notevole e la musica e i testi della “La Parte Mancane” me lo hanno confermato. Quello che invece dell’album non mi ha fatto impazzire è la sonorità in generale, dal punto di vista tecnico. Forse hanno avuto qualche difficoltà a livello di registrazione, non ho avuto modo di chiederlo, però, insomma, mi sembra un disco importante, valido, che ha un grande cuore come era grande il cuore di Francesco. Circa Gianni... Gianni è come il vino, più passa il tempo e più lui diventa bravo. Ma soffre molto questa mediocrità imperante nella nostra nazione. Questo non è il massimo per ispirare un artista a tornare a fare questa vita faticosa, quindi non lo so se confluirà di nuovo nel nuovo Banco. Lui, in questo momento, è felicemente “single” da un punto di vista artistico e musicale, però è sempre molto vicino al Banco perché gli appartiene moralmente ed artisticamente. Avrebbe voluto essere qui a Milano, ma proprio non ci è riuscito.
Filippo: Rimane comunque il concetto di Banco allargato... cioè, ci siamo noi nella band, c'è Vittorio, c'è Paolo Logli per il contributo alla scrittura dei testi, c'è Michelangelo Nocenzi... Ma Gianluca Renoffio chiedeva anche come fosse cambiato il processo creativo e gli dobbiamo una risposta. Fondamentale, per il processo creativo, è stato Michelangelo, il ragazzino che ad un certo punto arriva a mettere mani sul pianoforte e, tu che ascolti, dici: “Oddio, che è successo?”. Tanti anni fa è proprio successo così e Vittorio ha ritrovato l'amore di scrivere grazie a lui. In suo figlio ho ritrovato un fratellino minore, un complice. Anche per me Michelangelo è stato importante. Mi ha fatto apprezzare la libertà totale di scrivere senza nessun tipo di compromesso, cioè di andare oltre. Mi sono ritrovato, dopo 25 anni di musica a casa mia (perché il Banco è casa mia) a dover lanciare il cuore oltre l'ostacolo e a poter fare qualcosa di diverso di quello che avrei personalmente fatto. Michelangelo è stata la linfa vitale che ci ha dato dal punto di vista compositivo. Quindi è un Banco che non si esaurisce con quelli che stanno sul palco …un progetto “Banco” di cui anche i fan fanno parte, fanno parte di questa storia. E’ sempre il concetto di libertà, che oggi viene molto spesso travisata come nel caso dell'idraulico che può dire ad un esperto che non capisce nulla, ma che deve essere vista come responsabilità, soprattutto rispetto verso gli altri. Ed oggi, essere membri del Banco, per Vittorio e per me che siamo i più anziani ma anche per tutti gli altri, è una responsabilità verso i fan, verso le persone che ci sono intorno, che ci vogliono bene. E’ una responsabilità verso i vecchi compagni, Pierluigi Calderoni, Renato D'Angelo, Marcello Todaro … che si aspettano che il Banco prosegua. Noi ci sentiamo molto responsabili, ci sentiamo responsabili poi per Francesco e Rodolfo: mai e poi mai avrebbero voluto che noi ci fermassimo.
Vittorio: Filippo, ti ringrazio perché hai messo l'accento sul momento creativo, su come è stato costruito questo disco. La scoperta nel mio terzo figlio Michelangelo, il più piccolo, del mio Alter Ego musicale, è stata una cosa imprevista, cominciata casualmente.
Filippo: Vero, Vittorio. Ti ricordo quello che è successo tanti anni fa. Eravamo a casa tua ed ho sentito un pianoforte che suonava al piano di sopra, a Genzano. Sentivo qualcosa di sconosciuto e ti chiesi “Ma chi è?”. Tu mi rispondesti “è Michelangelo che suona delle cose sue”. Parliamo di più di 10 anni fa, era ancora piccolissimo, un bambino, ma aveva questa freschezza, oltre la bravura, che ci ha trasmesso a tutti quanti. Ha una luce negli occhi meravigliosa, che ci dà tanta energia a tutti noi che abbiamo qualche anno di più. Ci ha tolto 20 anni di vita, ma nel senso buono. Mi sono sentito tornare indietro ai miei 18 o 19 anni quando sono entrato nel Banco che aveva appena pubblicato “il 13” e mi aspettavo appunto quello che poi è stato: tournée mondiali, tanta musica, tanti concerti, tante prove, tante ore di studio… E mi ritrovo a fare un disco nuovo del Banco dopo 25 anni. Sono tornato un diciottenne, magari con i capelli lunghi che ormai sono scomparsi, peggio, sono tornato il bambino di 10 anni che faceva finta di suonare una racchetta da tennis che gli era stata regalata per il compleanno e con cui io ho solo simulato la chitarra e non ho fatto nient'altro. E’ stata una regressione formidabile grazie alla libertà che ci ha dato soprattutto Paolo Maiorino, il discografico della Sony qui presente che ci ha detto fate un disco come c**** vi pare, perché voi siete il Banco e potete fare un disco... e dovete fare un disco del Banco. Questa è stata la grande opportunità, quella di non avere freni.
Giornalista: Abbiamo parlato di responsabilità, di libertà, di cultura … ma ho una domanda specifica per Vittorio: la vostra generazione ha in qualche modo fallito nella trasmissione dei valori ai giovani della generazione dopo la vostra. Avete mancato il ruolo di maestri? All'inizio della conferenza si è parlato di vaccini, di calcio, di tutto un po’, eppure sembra sempre che la vostra generazione non abbia inciso.
Vittorio: Sì, assolutamente sì, la mia generazione ha fallito. Siamo arrivati ad un degrado del buongusto tale al punto che io, alla sera, mi addormento triste e purtroppo mi sveglio triste. Perché penso che intorno abbiamo dimenticato la meraviglia della bellezza. Purtroppo, è successo qualcosa in questo Paese che ha creato una frattura totale con il passato. Io non ci posso credere che oggi, nel 2019, stiamo parlando del concept-album “Transiberiana” del Banco del Mutuo Soccorso - che è primo in classifica delle prevendite nei maggiori siti che vendono vinile - ed allo stesso tempo accada quello che sta accadendo.
Filippo: Non è detto che non siamo stati maestri. Io sono solo un ragazzo ma mi sento di dire che il problema è che è stato fatto di tutto a livello mediatico per cancellare la cultura musicale italiana. Si è perso di vista questo aspetto. Esiste tanta gente in Italia e nel mondo che ama ancora la musica vera, di qualità, a cui piace leggere libri, a cui piace ancora ascoltare persone che sanno parlare in italiano, ascoltano le notizie, la cronaca, si informano… Persone che guardano l’arte contemporanea, analizzano la cronaca nera, ascoltano la musica … ma questa gente è stata dimenticata, è messa da parte come se non facesse più PIL. Questo è successo. Magari sarò un complottista dell'ultima ora, ma purtroppo abbiamo perso di vista ed abbandonateun bel po' diqueste persone che si sono trovate disorientate. Ci ritroviamo ogni tanto, nei piccoli momenti di un concerto o in oasi felici come questa di oggi, e ci contiamo … e non siamo molti.
Vittorio: Per tornare sui maestri, evidentemente siamo stati cattivi maestri e io mi prendo la mia parte di colpa. Come generazione non abbiamo insegnato molto ma voi, come media, prendetevi la vostra colpa. Non sarà molto popolare quello che sto dicendo, ma avete fatto dei danni pazzeschi. Sempre di più vedo che si attacca l'asino dove vuole il padrone, cioè i media, ed il fatto che la fruizione della informazione sia cresciuta esponenzialmente ha creato un grande equivoco: quello di confondere informazione con conoscenza. La conoscenza è un’altra cosa, è elaborazione dell'informazione e da questa elaborazione tu ti fai una tua idea ed in questo modo cresci e conosci. Ma siccome noi abbiamo tutti a disposizione i telecomandi, abbiamo la possibilità di avere Wikipedia a portata di mano, di avere accesso ad Internet, ecc., scambiamo l'informazione per conoscenza. Ci sembra di sapere talmente tanto che ci si sente sdoganati dall'aver studiato un argomento seriamente prima di parlarne. Con in aggiunta l’aggravante di una natura umana pronta a saltare sul cavallo del vincitore (che in Italia è uno sport nazionale da quando Carlo VIII scese con le sue truppe e cioè da quando abbiamo chiamato gli stranieri per dirigere le nostre liti fra staterelli). Saremo stati sicuramente cattivi maestri, abbiamo predicato e non razzolato adeguatamente...
Giornalista: ma non avete trasmesso ciò che volevate…
Vittorio:…Ti faccio notare una cosa: chi è più forte a trasmettere un messaggio? Una madre od una televisione accesa 24 ore su 24? o un giornale, una radio? Basta vedere gli ultimi spettacoli musicali di questo paese: il nulla, il passato come Nouvelle Vogue della cultura italiana. Però meriti una risposta ancora più dettagliata. Ti porto questo esempio: io negli ultimi anni, dal 1995, ho inventato un “format”, un concerto didattico multimediale. Ti ricorda qualcosa Gianluca (Renoffio)?
Gianluca Renoffio: Sì, come no. Il progetto “Le chiavi segrete della musica”.
Vittorio: Abbiamo iniziato per scherzo, ricordi? Ma grazie a quel progetto ho incontrato 200 mila studenti di 8 regioni italiane utilizzando immagini e musica per parlare di tutto. Non solo ho trasmesso quello che sapevo ma ci ho proprio lavorato come un pazzo facendo concerti, incontrando gli studenti delle scuole superiori, quasi corpo a corpo, usando la musica come chiave di accesso al sapere collettivo…parlando, ad esempio, di quanto è stato forte Jaco Pastorius che ha inventato il basso elettrico e paragonarlo alle invenzioni di Caravaggio in pittura, oppure usando il RAP per discutere della funzione del coro greco nelle tragedie elleniche... Ho fatto delle cose pazze, ma veramente pazze, pur di cercare di trasmettere idee, proprio come maestro. Ancora di più: ho lavorato per la Presidenza del Consiglio, per la Regione Toscana, per la Regione Lazio, ho ideato un progetto per mettere in rete tutti gli istituti superiori della regione Toscana e le province con tutti i dieci teatri stabili. Ho pensato di usare i teatri per gli incontri perché ero arrivato a vedere che lo studente, se lo invitavi ad un incontro culturale nell'aula magna della scuola, si comportava male, non si concentrava perché non era abituato a starci e quindi entrava svaccato, faceva caciara... e quindi ho fatto in modo di farlo entrare al Metastasio, nel teatro stabile regio di Parma, luoghi che imponevano un altro tipo di comportamento. Ho messo in moto di tutto, ho trasmesso tutto quello che avevo da trasmettere… ma non potevo competere con la forza mediatica che tutti i giorni ti martella e ti fa subire 15 spot pubblicitari sulle scommesse on-line durante una partita di calcio, facendoli finire con quella filastrocca rapidissima, vergognosa ed incomprensibile che dovrebbe essere il contrappeso deterrente. Come potevamo fare di fronte a forze diaboliche del genere, distruttive della coerenza? Sto vedendo in santa pace la partita e mi devi far scommettere, devi farmi spendere i soldi, devi farmi rovinare. Questa è la società che purtroppo abbiamo voluto e con la quale dovremmo fare i conti. Filippo ha detto una cosa giusta prima: è un miracolo, un disco come questo. Probabilmente ce lo tireranno indietro (i vegani sicuramente), però ce l’abbiamo messa tutta a “cercare di fare pensare”. Ma anche la scuola rema contro: tutti gli anni della scuola sono tutta fatica sprecata.
Filippo: Vorrei fare un altro esempio, il progetto della Roma Electric orchestra. E’ stato un progetto importante. Una orchestra di ragazzi delle scuole di Roma e provincia. Oggi la maggior parte di questi ragazzi sono musicisti che non fanno i matrimoni o le sagre di paese (con tutto il rispetto per matrimoni e sagre) ma sono grandi turnisti o jazzisti o cantautori. Anche Mirko e il cane era uno dei chitarristi dall'orchestra, ed ha scritto un pezzo molto coraggioso per presentarlo a Sanremo.
Vittorio: Bravo Filippo, dimenticavo. Era un'orchestra elettrica costituita da 50 elementi, 15 chitarre elettriche che, nella mia testa matta, dovevano fungere da violini, 5 tastiere, 2 batterie, 2 bassi, un sassofono e 25 persone come coro, messi assieme per eseguire la “Messa da Requiem” di Mozart insieme con il “Tubolar Bell” di Mike Oldfield. Vi garantisco che è stata una esperienza pazzesca, vedere tanti ragazzi con la chitarra elettrica ed ognuno con davanti un leggio è una cosa che non dimenticherò mai. I chitarristi in genere la musica non la sanno leggere (risate). Filippo è un'eccezione ma questa è una nazione in cui chiunque può diventare un musicista: e che ci vuole? È una stupidaggine fare il musicista (risata amara).
Giornalista: Qual è il retroterra culturale di questo progetto “Transilvania”? Ci sono letture? Ci sono film? C'è l’esperienza diretta di qualcuno di voi che ha fatto il viaggio in quei luoghi?
Vittorio: Nessuno di noi ha fatto il viaggio in Transiberiana, non ancora. Mi sono sentito un po' come Emilio Salgari che, dalla sua Verona, immaginava le tigri di Mompracem e che ha anche scritto cose sulla Siberia. Per evitare di fare un esercizio salottiero, però, sono andato a leggere parecchi libri ed ho scoperto che la Siberia è una terra che ha un grande problema, quello dell'alcolismo, sia per gli uomini che per le donne. Ci sono poi 250 etnie diverse, quindi 250 lingue diverse, che hanno subito una russificazione pesantissima. Una terra tosta, come per tutte le popolazioni artiche… Ma la scelta della Transiberiana non è uscita dalle letture ma è arrivata da un lavoro di metodo. Prima di iniziare a scrivere abbiamo deciso di fare il nuovo disco, un disco completamente inedito, con il supporto della Sony attraverso il lavoro di Paolo Maiorino. Poi abbiamo deciso che tipo di album doveva essere e ho pensato che era opportuno che scrivessimo con il linguaggio del cuore… e noi siamo diventati quello che siamo attraverso il rock progressivo e gli album concept. L’album concept rispondeva pienamente alle mie necessità come compositore perl'ampiezza di narrazione che volevo dare. Fin qui tutto lineare. A questo punto siamo entrati nella fase in cui possono succedere imprevisti, che possono essere negativi o positivi. E l’inconveniente positivo ed inaspettato è accaduto con questo incontro con mio figlio Michelangelo che mi fa sentire un brano al pianoforte che mi ha subito entusiasmato. Il brano era “Il Grande Bianco”. C'era questa parte minimalista che mi piaceva molto. Sentivo questa malinconia giovane dentro, che cadeva, e mi ha immediatamente evocato una nevicata, i fiocchi che vengono in testa. Ci ho messo istintivamente, spontaneamente le mani sopra ed è cominciato il gioco: Michelangelo portava un suo pezzo e io ci mettevo le mani … e ci siamo ritrovati a scrivere a quattro mani tutto il disco. Comunque, ancora una volta, sono stato fortunato nel riuscire ad avere la lucidità di controllarmi, a non mangiare in un boccone il ragazzo giovane come un vecchio corsaro, ed automaticamente a spegnere la fiamma dell'ispirazione, del diverso, dell'altro. Avrei potuto far crollare la scintilla nata dentro le due generazioni diverse, ma sono stato bravo a controllare me stesso e non ho mai spinto oltre il limite il mio intervento. Michelangelo è parte del disco. Tra l'altro non è qui perché sta poco bene. Sarebbe venuto volentieri.
Guido Bellachioma: Scusate, siamo arrivati un po' lunghi come tempi…
Vittorio: Si, ma ho ancora una cosa da aggiungere … veloce veloce. Dopo la fase di scrittura musicale, c'è stata la scrittura dei testi, altra cosa importantissima. Con Paolo abbiamo trovato un'intesa miracolosa, evidentemente nata dal fatto che il primo concerto che sentì da ragazzo a La Spezia, sua città natale, fu un concerto del Banco e che è stato il regista dell'unico video che il Banco ufficialmente ha realizzato “Ciò che si vede è”. Paolo è anche un romanziere e sceneggiatore, persona colta della musica, appassionato conoscitore del Banco e sincero amico mio e di Francesco. E’ stato quindi facile e naturale cominciare a scrivere con lui. Voglio soprattutto ringraziarlo pubblicamente per la sua disponibilità umana, costruttiva e fantastica. Arrivati alle parole, ho potuto verificarne la metrica e la band ha iniziato ad arrangiare i pezzi inserendo le frasi di chitarra, i giri di basso, la ritmica della batteria. Fare un disco è come fare un vestito: va tagliato, va cucito, ma poi la prova del nove è quando viene indossato dalla persona per cui è stato fatto. Quindi finché tutti i contributi della band, le interpretazioni, non sono decise e suonate, finché non riesco a sentirle, ho sempre la paura che magari anche se bellissimi gli arrangiamenti potrebbero non essere adatti al palco, oppure non “suonare” coerenti. Ma quando sono arrivate le prime chitarre di Filippo, sono esploso di gioia perché il vestito era proprio fatto su misura, era proprio perfetto. E credo che lo abbiate sentito anche voi in qualche modo durante l’ascolto del disco. Devo dirti, Filippo, che hai raggiunto un livello di qualità artistica, te lo dico in modo disinteressato, veramente, che mi ha entusiasmato. Certi assoli che hai fatto nel disco sembrano scritti e non improvvisati. Quando vi capiterà di risentire il disco sentirete come mi sono divertito con l’organo hammond a fare alcuni assoli andando in unisono, come figure musicali, con la chitarra. Sono degli assoli così belli che li ho trascritti per tastiera: è diventato un bel gioco, con molte sperimentazioni, cembali e wa-wa messi all'unisono con delle table.brasssection.. un sacco di spunti di esperimenti. Questo secondo me ha rinnovato il suono del Banco e del rock progressivo. Di questo c'era bisogno: di una musica che riprendesse la tradizione degli anni 70, come struttura e scrittura, ma che aggiungesse i suoni di oggi, della contemporaneità.“Transiberiana” non suona come un disco degli anni '70, volevamo che fosse un disco del 2019.
Giornalista: Un’ultima domanda Vittorio. Tanti brani lirici, tanti testi, un solo brano strumentale. Perché non un “traccia 4”? Ci avete provato?
Vittorio: Sì, l'ho pensato, però non volevo che fosse troppo ammiccante, come se volessimo dire: “siamo sempre noi”. La continuità c'era già nella scelta del Salvadanaio della copertina. E’stata un'idea dell’altro mio figlio Mario Valerio, che mi è piaciuta immediatamente perché è un'idea semplice, efficacissima come tutte le sintesi semplici, che riprende il salvadanaio che rappresenta il banco (è il nostro logo storico) anche all'estero e lo trasforma però in un mappamondo. Quando nacque questo salvadanaio nel '72, l’idea fu che poiché era il simbolo di dove la gente metteva le loro cose preziose, e cioè i propri soldi, Il nostro salvadanaio avrebbe contenuto la nostra cosa più preziosa, cioè la nostra musica.Oggi farlo diventare “il mondo”, significa mettere nel nostro salvadanaio, nella nostra parte più privata e più intima, anche l'idea di vivere in un mondo allargato, contemporaneo. Vuole essere il simbolo che viviamo nel mondo e non vegetiamo. Questo, inoltre, dà un segno di internazionalità al prodotto che infatti non si rivolge solo all'Italia, ma anche alla distribuzione nazionale internazionale. Ed ora divertiamoci al buffet …
Non si conoscono i nominativi di alcuni dei giornalisti che hanno presenziato alla conferenza stampa, intervenendo con domande e contributi. A richiesta degli interessati, la redazione di Artists and Bands si rende disponibile ad inserirli nel corpus del testo.
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