Tripla recensione per "Transiberiana" - Banco del Mutuo Soccorso
Il nuovo lavoro del Banco alterna momenti di ritmo ossessivo e serrato, con un ottimo amalgama della band che propone una potenza sonora "importante", agli episodi che maggiormente portano chi ascolta nel proprio perimetro di conforto, con aperture solari (Campi di Fragole), portate dall'acustica delle chitarre. Molti slanci musicali ricordano "Darwin", come costruzione e ricerca della emotività nei cambi di ritmo e nell'uso del contrappunto e della melodia che fuoriesca dall'incastro delle linee strumentali tra loro antagoniste, ognuna in una continua rincorsa alla ricerca di divenire prominente sull'altra, come i rivoli di un torrente che ne costituiscono il flusso, il continuo divenire (I Ruderi del Gulag). "Il Grande Bianco" è un loop continuo, una sequenza di note in cui si inseriscono voce e tastiere accompagnate dal basso a sostenere le escursione del "moog" ... la ripetizione del loop crea momenti introspettivi ed introversi, un'atmosfera pesante attorno ai protagonisti e a chi li ascolta, fino alla "fuga" finale che evoca un possibile cambiamento, un'apertura che culmina con il solo pianoforte che riappacifica. "Oceano: strade di sale", richiama molto, come costruzione, il mood di "RIP" o de "Il Ragno": aperture e ritmiche, contrappunto e melodia. E tutto è ancora Banco.
di Gianluca Renoffio
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E' fuori di dubbio che questo disco sia la cosa migliore prodotta dal Banco a partire da "Capolinea". In tal senso, pare saltato fuori direttamente dagli anni '70. Tuttavia, e duole iniziare questa rece con una avversativo, emergono alcuni pesanti riserve, pur dopo attenti e reiterati ascolti. Partiamo dai pregi. Tony D'Alessio, per chi scrive, rappresenta la scelta giusta: bella voce e bella interpretazione. Non scimmiotta Francesco Di Giacomo, palesandosi con un suo stile, riuscendo talvolta a ricordarlo con puntuale competenza. Le sue prove vocali trasudano competenza e impegno e sono peraltro intrise di profondo rispetto per il blasonato predecessore, come testimoniano anche e soprattutto i due brani live tratti dal repertorio storico. Le chitarre sono eccezionali. In taluni casi, uno dei due (non sappiamo bene chi, probabilmente Filippo Marcheggiani) sembra omaggiare il grande Allan Holdsworth, cosa piuttosto inedita per il Banco. I virtuosismi, riccamente presenti (anche nei brani live appena citati, entrambi impreziositi da nuove e apprezzatissime soluzioni arrangiative), sono decisamente misurati e sempre contestualizzati. Le musiche sono meravigliosamente complesse e, ascoltandole, non si può non esclamare l'agognato "finalmente!". Bellissima cosa! Bravi! Tutto ciò, non rende esente l'opera da critiche. In primis va evidenziato che, da un attento ascolto del disco, si ricava un'impressione di generale disorganicità. Il brano inziale, "Stelle sulla terra", sembra imprimere un marchio determinante in tal senso: un'amalgama non perfettamente riuscito di idee piuttosto valide, sensazione che caratterizza l'intero concept. Molti dei brani contenuti in questo "Transiberiana" paiono lanciare spunti interessantissimi che, ahimé, comunicano un senso di mancata definizione: idee efficaci, talvolta addirittura magniloquenti, purtroppo mai appieno sviluppate. Una suite di estesa durata, forse, avrebbe reso maggiormente giustizia ai validi spunti compositivi. Un paio di passaggi presentano tempi dispari che paiono gratuiti: sembra che i compositori abbiano voluto ostentare una certa complessità, ma il risultato riporta, talvolta, all'idea di abuso della cripticità, non di spontanea ingegnosità, come invece dovrebbe essere. Per avere un'idea chiara di quest'ultimo concetto, il lettore corra ad ascoltarsi l'esordio della band o il successivo "Darwin": vi sono espressi passaggi dal costrutto complicato ma sempre dotati di senso compiuto e sempre caratterizzati da altissimo potere comunicativo. E quando la costruzione dei brani appare inconfutabile, la pecca si riscontra in alcune scelte esecutive: "Campi di fragole", ad esempio, è un brano meraviglioso, un vero capolavoro di intimismo, purtroppo penalizzato dalla voce di Vittorio Nocenzi, che si ostinava a voler cantare in presenza di un primissimo come Francesco Di Giacomo, e si ostina a farlo oggi, con a fianco un Tony D'Alessio che, come detto, non è uno che la manda a dire. Se il brano l'avesse interpretato lui, parleremmo adesso di un'eccellenza tout court. Peccato. I testi, infine, sono piuttosto criptici, a tratti incomprensibili, anche loro piuttosto disorganici (e stavolta senza alcuna eccezione). In conclusione, "Transiberiana" non è il capolavoro che "L’asssalto dei lupi" e "I ruderi del gulag" - i due ottimi brani che avevano anticipato l'uscita discografica - avevano fatto presagire. Reiterati ascolti, più che doverosi, quando si parla di un disco complesso come questo, lasciano l'impressione di un colpo di fucile ben assestato, ma non completamente centrato. Tuttavia - e questo secondo avversativo gioca adesso a favore della band - questo è un giudizio partigiano, espresso da chi ha in mente sempre e soltanto il progressive degli anni '70. Aprendo la mente, o liberandola da una manciata di luoghi comuni di stampo nostalgico, l'album si evidenza quale genuino esempio di coraggiosa attitudine, cosa di cui dobbiamo dare atto a Vittorio Nocenzi. L'opera emerge quale eccellenza del nuovo millennio: non è cosa scontata, la pubblicazione di un disco come questo, in un'epoca, come quella attuale, dove la musica pare più un evento mediatico che artistico. In tal senso, il titolo mantiene alta la tradizione di questa gloriosa band e lo fa lasciando al palo le recenti fatiche discografiche di altri illustri colleghi del progressive italiano (su tutti, la Premiata Forneria Marconi e Le Orme) che, letteralmente, scompaiono ad un confronto anche sommario.
di Gianluca Livi
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Per chi ha amato quello che fu uno tra i più grandi gruppi del progressive italiano degli anni ’70 risulta comunque difficile mantenere un’opinione oggettiva su questo album: troppi i ricordi e gli inevitabili rimandi alla voce di Francesco Di Giacomo, non solo: ma anche alle sonorità che il Banco del Mutuo Soccorso ha dispensato fino al live “Capolinea”. Intendiamoci: Tony D’Alessio ha una sua personalità, non è semplicemente un emulo del compianto Francesco ed è un bene che sia così. D’altro canto, da un punto di vista strettamente lirico, la scelta di “delegare” a Paolo Logli (fan, amico e collaboratore del Banco da molti anni; suo fra l’altro il DVD “Ciò che si vede è” del 1992) la maggior parte della stesura dei testi è da ritenersi tuttaltro che sconsiderata (ricordate, a tal proposito, Vincenzo Incenzo che svolse un egregio lavoro con il concept “Ulisse” della P.F.M.?). Vero però che un conto è interpretare un proprio testo, un testo che il cantante “sente suo”, un altro è limitarsi a interpretare testi scritti dal altri sforzandosi però di farli propri e, anche di questo, va reso merito a D’Alessio. Si percepisce la provenienza “metal” del cantante, soprattutto nei brani e nei passaggi più ritmati (e sono tanti, forse troppi; il Banco precedente mai si era prodigato in questi ritmi serrati, a certe sonorità “forti”), ma è sulle atmosfere e nei brani più riflessivi che Tony D’Alessio interpreta con profondo pathos i testi di Paolo Logli.Ascoltando nel complesso la resa sonora, si può affermare che Nocenzi sia riuscito a coinvolgere dei musicisti di prim’ordine, a cominciare da Filippo Marcheggiani, che finalmente qui può dimostrare (se mai ce ne fosse stato ulteriormente bisogno) tutta la sua capacità tecnica espressiva personale, senza doversi preoccupare di rapportarsi al vecchio repertorio e – va detto a onor del vero – in alcuni casi, la sua chitarra è pura magia. Concept album, almeno dal punto di vista lirico (la lunga tratta Transiberiana, come ha spiegato Vittorio Nocenzi nel corso della conferenza stampa di presentazione dell’album, rappresenta il ciclo della vita), più che musicale: a parte il riff iniziale ripreso poi a metà disco, i brani sembrano spesso episodi concepiti in maniera a sé stante e poi amalgamati l’un l’altro senza una vera continuità, come invece richiederebbe il canonico stile progressive. Ma poco importa, poiché lo stile del Banco rimane in gran parte intatto, ancora una volta grazie a Vittorio: impeccabili i suoi passaggi, a volte veramente epici (un grande merito – come ha detto lo stesso compositore – va riconosciuto al figlio Michelangelo, che spesso ha creato le basi, poi lavorate e ampliate dal padre in fase successiva), ma anche al resto della band, che davvero porta a emozionare anche i fan nostalgici.Certo, come già affermato, l’approccio all’ascolto dev’essere necessariamente slegato dai continui tentativi di rimandare la mente a Francesco Di Giacomo, cosicché complessivamente la resa sonora, soprattutto nelle parti strumentali – e sono generose – potrà risultare effettivamente appassionante. Dimentichiamo il “13”, tuffiamoci invece nel Banco dei primi anni ’70, o ancor più specificatamente in “Come in un’ultima cena” o nella colonna sonora de “Il garofano rosso” e non sarà difficile (ri)trovare talune atmosfere e passaggi echeggianti quei lavori.E se invece avanzassimo le riserve di cui abbiamo già parlato recensendo “Emotional Tattoos” della Premiata Forneria Marconi? (lo abbiamo recensito qui). Cioè, se ci sfiorasse il dubbio che questo album fosse un’opera concepita a tavolino per rinverdire i vecchi fasti? Beh, sul mercato ci sono musicisti blasonati che non sarebbero in grado di produrre un decimo di quanto c’è in “Transiberiana”. Non è retorica ma, come ha detto Vittorio Nocenzi (in questa conferenza stampa): “il disco doveva essere vero, profondo, ispirato, non dovevamo emulare noi stessi. Soprattutto, la cosa più importante era il concetto di verità, ossia per fare un buon disco prog (una musica che risultava anarchica rispetto al pop esistente negli anni ’70) non bisogna fare il verso al prog e non è un disco prog solo perché lo riempi di tempi dispari (9/8, 5/4, ecc.). Il tempo dispari serve per fare suonare meglio determinate parti, altrimenti, significa fare il verso, suona falso; oppure parlare dei massimi sistemi senza averne la cultura per farlo. Questo significa essere coerenti...e a 70 anni perché non esserlo. Hai ancora qualcosa da perdere?”
di Roberto Cangioli
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Vittorio Nocenzi: Pianoforte; Keyboards; Backing Vocals; Lead Vocals on “Campi di fragile” Tony D’Alessio: Lead Vocals Filippo Marcheggiani: Lead Guitars; Backing Vocals Nicola Di Già: Rhythm and Acoustic Guitars; Balalaika Fabio Moresco: Drums Marco Capozi: Bass
Guest: Michelangelo Nocenzi: Additional Keyboards and Loops programming.
Anno: 2019 Label: Inside Out / Sony Music Genere: Progressive Rock
Track list: 01. Stelle sulla terra: - La partenza - Cavalli sull’altopiano - Perché, perché, perché 02. L’imprevisto 03. La discesa dal treno: - Fermi ed agitati come tende al vento - Come nell’Ade 04. L’asssalto dei lupi 05. Campi di fragole 06. Lo sciamano 07. Eterna Transiberiana 08. I ruderi del gulag 09. Lasciando alle spalle 10. Il grande bianco 11. Oceano: strade di sale
Bonus Tracks: 12. Metamorfosi (Live) 13. Il ragno (live)
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